Ascensore in condominio, indispensabile per accessibilità: è legittimo

L’installazione di un ascensore in condominio che concorre ad eliminare le barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte del bene comune, va considerata indispensabile in ordine all’accessibilità e all’effettiva abitabilità dell’appartamento e quindi rientra nelle facoltà spettanti ai singoli condomini. Il condominio non può opporsi all’ampliamento della scala resosi necessario per realizzare l’ascensore. Ecco il contenuto di quanto ribadito nell’ordinanza n. 31462 della Cassazione.

Ascensore in condominio, l’ordinanza della Cassazione

La Corte di Cassazione, tramite l’ordinanza n. 31462 pubblicata il 5 dicembre 2018,  ha chiarito che l’ampliamento di una scala padronale determinato dall’esigenza di consentire la realizzazione di una sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore, indispensabile per garantire la reale abitabilità di un edificio, non può essere vietata per una disposizione del regolamento condominiale che ne subordini l’esecuzione all’autorizzazione del condominio, in particolar modo facendo riferimento al principio della “solidarietà condominiale” alla quale ci si deve improntare.

Ascensore in condominio, il caso

La vicenda ha origine da un ricorso in Tribunale promosso da un gruppo di condomini che miravano a dichiarare illegittimo l’ascensore realizzato da altri condomini e chiedevano che questi ultimi fossero condannati, oltre al ripristino dello stato dei luoghi, anche al risarcimento dei danni. Dall’altra parte, i convenuti avanzavano la richiesta di risarcimento dei danni scaturiti dal ritardo nell’esecuzione dell’opera.

Il Tribunale procedeva a rigettare entrambe le domande e la Corte di Appello a confermare la pronuncia di primo grado. In sede di appello veniva specificato che comunque, in merito alla riduzione dello spazio utile a disposizione, era possibile garantire il passaggio di persone e di cose, biciclette e scooter, nonché il corretto rapporto di aeroilluminazione, realizzando lavori di entità modesta, dei quali si sarebbero assunte le spese a loro carico i condomini interessati.

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Ascensore in condominio, espressione di un principio di solidarietà sociale

I condomini ricorrenti non si arrendevano e tramite il ricorso in Cassazione, sostenevano che ci si trovasse difronte ad un’ “innovazione vietata”. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando i ricorrenti al rimborso delle spese di giudizio e ha confermato la decisione dei giudici di appello sulle questioni tecniche. Ha ribadito che l’installazione di un ascensore allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, anche se viene eseguita da un condomino sulla parte di un bene comune, va considerata necessaria per garantire l’accessibilità dell’immobile e l’effettiva abitabilità dell’appartamento e quindi fa parte delle facoltà concesse ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 del Codice civile.

In aggiunta, ha sottolineato che, in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, la legge n. 13 del 1989 rappresenta l’espressione di un principio di solidarietà sociale e mira a favorire l’accessibilità agli immobili nell’interesse collettivo. Quindi, l’ampliamento della scala padronale con lo scopo di dar spazio ad un ascensore, non può essere bloccata in funzione di una disposizione del regolamento del condominio che faccia dipendere la sua esecuzione dall’autorizzazione condominiale.

Il principio di solidarietà condominiale a cui si fa riferimento consiste nel rispetto dei vari interessi, tra cui anche quello vantato dalle persone disabili o portatrici di handicap, in merito all’abbattimento delle barriere architettoniche: un diritto fondamentale che non dipende dalla loro effettiva utilizzazione degli edifici interessati, ma che comunque attribuisce il carattere della legittimità all’intervento innovativo medesimo, a condizione che lo stesso concorra a diminuire le condizioni di disagio nell’utilizzo dell’abitazione, considerata bene primario, se non proprio ad eliminare totalmente gli ostacoli.

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Articolo Ascensore in condominio, indispensabile per accessibilità: è legittimo di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Abusi edilizi, silenzio-assenso della Pa non blocca la demolizione

Non è sufficiente che si verifichi il silenzio-assenso da parte della Pubblica Amministrazione in merito alla domanda di sanatoria, per determinare il dovere del giudice dell’esecuzione a revocare o a sospendere l’ordine di demolizione emesso dal giudice di merito con una sentenza definitiva, a proposito di una questione riguardante abusi edilizi. Questo è il contenuto della sentenza n. 55028 depositata ieri dalla Corte di Cassazione.

Abusi edilizi, è necessario il rilascio della concessione o del permesso di costruire in sanatoria

La sentenza n. 55028 della Corte di Cassazione ribadisce che la presentazione della domanda di sanatoria in riferimento ad abusi edilizi commessi, se è seguita solo dal silenzio-assenso dell’amministrazione locale, non determina il fatto che il giudice sia obbligato a emanare la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione già impartito dal giudice di merito con sentenza definitiva. Quindi la sola presentazione della domanda di sanatoria non è sufficiente per bloccare la demolizione, la Corte di Cassazione sottolinea che, per limitare il sindacato del giudice, occorre che venga rilasciata la concessione o il permesso di costruire “in sanatoria”. In tal caso, il reato edilizio si estingue e il giudice può limitarsi solo alla verifica della conformità delle opere oggetto della sanatoria al titolo abilitativo.  In caso contrario, il giudice dell’esecuzione è tenuto a prendere in esame la domanda di sanatoria che è stata presentata con lo scopo di regolarizzare e conservare le opere abusive, sia sotto l’aspetto formale che sostanziale, ed è quindi chiamato a pronunciarsi anche sull’ordine di demolizione emanato dal tribunale con sentenza definitiva, in quanto spetta al giudice medesimo decidere se i manufatti abusivi in oggetto vanno mantenuti o demoliti.

Abusi edilizi, il giudice deve verificare la validità del titolo abilitativo

Il ricorrente aveva presentato ricorso in quanto riteneva che il giudice dell’esecuzione avesse superato la soglia dei propri poteri e avesse invaso la sfera di competenza dell’amministrazione locale. La Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile tale ricorso, in quanto «il giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o della revoca dell’ordine di demolizione, impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, valutando la sussistenza dei presupposti per l’emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio oltre, ovviamente, alla rispondenza di quanto autorizzato con le opere destinate alla demolizione, con l’ulteriore precisazione che il rispetto dei principi generali fissati dalla legislazione nazionale richiesto per le disposizioni introdotte dalle leggi regionali riguarda anche eventuali procedure di sanatoria».

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Abusi edilizi, prevale il Testo Unico Edilizia rispetto alla norma regionale

Secondo la tesi sostenuta dal ricorrente, la regolarizzazione delle opere abusive, in base alla Legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, sarebbe stata raggiunta con il passare del tempo, dopo la presentazione della sua domanda di sanatoria riguardante opere qualificate come “precarie” e “già esistenti” e ciò avrebbe determinato il cambiamento della situazione giuridica che stava alla base dell’ordine di demolizione.

La Corte di Cassazione, invece, ratifica l’operato del giudice dell’esecuzione e convalida la sua decisione di privilegiare il Testo unico dell’edilizia rispetto alla normativa regionale, nella valutazione della validità del silenzio-assenso della Pa e dell’esatto momento in cui si considera estinto un abuso edilizio. Infine, reputa legittimo il giudizio di merito contemplato nella sentenza impugnata, in base al quale le opere non potevano essere considerate “precarie”, nemmeno applicando il criterio funzionale e non strutturale che viene adottato dalla Regione siciliana, in casi eccezionali, poiché non si può interpretare in senso lato.

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Come sanare gli abusi edilizi

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Demolizione Abuso edilizio, quando prevale l’interesse pubblico

La delibera comunale che dichiara che esiste un interesse pubblico che sul ripristino dell’assetto urbanistico violato, bloccando la demolizione di un’opera abusiva (prevista dall’articolo 31, comma 5, del Testo unico dell’edilizia) deve spiegare tutte le specifiche esigenze che giustificano la scelta di non demolizione. Il giudice dell’esecuzione ha il potere di sindacare la scelta di non demolire.

Lo dice la Cassazione, che ha confermato l’ordinanza della Corte d’Appello di Salerno che aveva respinto l’istanza del proprietario di un manufatto abusivo volta a ottenere la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione della stessa Corte territoriale.

Abuso edilizio: quando si può non abbattere per interesse pubblico

La Cassazione è quindi d’accordo con l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il Consiglio comunale può dichiarare la prevalenza di interessi pubblici che ostacolo la demolizione dell’opera abusiva solo se:
– non c’è contrasto con rilevanti interessi urbanistici/ambientali;
– una deliberazione del Consiglio dichiara formalmente la sussistenza dei suddetti presupposti di non contrasto;
– c’è una dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici (Cassazione, Sezione III, sentenza 10 ottobre 2008, n. 41339).

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Gli abusi edilizi

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La linea di demarcazione fra opera edilizia legittimamente realizzata ed opera abusiva è spesso labile o di dubbia identificazione. Errare nella individuazione della fattispecie e del relativo procedimento può portare a gravi conseguenze giuridiche e giurisdizionali, anche penali. Questo…


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Titoli abilitativi edilizi, permesso di costruire, S.C.I.A. e D.I.A.: un ebook per orientarsi

Altalex Editore pubblica il volume in formato digitale che si pone come guida per chi debba orientarsi nel diritto amministrativo dei titoli abilitativi edilizi, permesso di costruire e sanzioni in caso di abuso

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Per chiudere un portico, che permesso serve?

Ecco la selezione settimanale delle sentenze più interessanti pubblicate la scorsa settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: per chiudere un portico, che permesso serve?; muro di contenimento: sempre titolo edilizio necessario; abuso edilizio: onere della prova dell’epoca di realizzazione; parcheggi pertinenziali interrati: esigibilità degli oneri di costruzione; SCIA: limite per annullamento in caso di falsa rappresentazione della realtà.

Chiudere un portico: che titolo edilizio serve?

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, 24 novembre 2017 n. 941
Massima: La chiusura di un preesistente portico richiede il permesso di costruire

 

La chiusura di un preesistente portico comportato, da un punto di vista urbanistico, un aumento di volumetria dell’immobile (con conseguente, seppur lieve, aumento del carico antropico) e, da un punto di vista estetico, una modifica della facciata.

Sotto il profilo tecnico giuridico, è tale, quindi, da poter essere considerato una nuova costruzione ai sensi delle vigenti norme in materia edilizia (art. 3, comma 1, lett. e, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), necessitante di permesso di costruire, e non, invece, trasformazione che non aumenta il carico antropico (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia).

Muro di contenimento: che titolo edilizio è necessario?

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. I Lecce, sent. 23 novembre 2017 n. 1839
Massima: Serve il permesso di costruire per il muro di contenimento

 

I muri di contenimento si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso.

I muri di contenimento devono, quindi, presentare necessariamente una struttura idonea, per consistenza e modalità costruttive, ad assolvere alla funzione di contenimento. Pertanto, il muro di contenimento, pur potendo avere, in rapporto alla situazione dei luoghi, anche una concomitante funzione di recinzione, è tuttavia sotto il profilo edilizio un’opera più consistente di una recinzione il che esclude la sua riconducibilità alle opere di edilizia libera essendo, invece, necessario il permesso di costruire.

>>> Realizzare un muro di contenimento: serve il permesso di costruire?

Parcheggi pertinenziali interrati: oneri di costruzione

Estremi della sentenza: TAR Emilia Romagna, 20 novembre 2017 n. 751
Massima: Il Comune non può richiedere gli oneri di costruzione per i parcheggi pertinenziali interrati

 

La giurisprudenza ha, in più occasioni, avuto modo di pronunciarsi sulla questione relativa dell’assoggettamento a contributo urbanistico per oneri di costruzione della parte degli interventi edilizi assentiti relativa alle superfici destinate a parcheggi pertinenziali interrati, ritenendo illegittima la relativa pretesa delle amministrazioni comunali (v. T.A.R. Emilia – Romagna sez. I, n. 545 del 2017; sez. II n. 939 del 2014 e 16/4/2010 n. 3533).

In dette pronunce è stato condiviso l’autorevole posizione del Consiglio di Stato che, in tema di controversie aventi ad oggetto “la rideterminazione dei contributi urbanistici da parte delle amministrazioni comunali, con specifico riferimento al preteso assoggettamento a tale contribuzione degli interventi edilizi concernenti la realizzazione sia dei parcheggi pertinenziali sia delle superfici relative ai corselli di manovra e di accesso ai garage interrati”, ha stabilito che tutti i parcheggi pertinenziali, in quanto espressamente individuati quali opere di urbanizzazione, non soggiacciono al contributo di costruzione (v. Cons. Stato sez. IV, 28/11/2012 n. 6033).

Nella citata decisione, il Consiglio di Stato ha infatti precisato quanto segue: “Deve sul punto ribadirsi, infatti, che la legge n. 122/1989 nell’innovare la disciplina dei parcheggi (anche ex art. 2 comma 2 incrementando la misura minima obbligatoria di parcheggi pertinenziali nei nuovi edifici -il rapporto di 1mq./20mc stabilito inizialmente dall’art. 41 sexies comma 1 della legge 1150/1942 nel testo aggiunto dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 è stato portato a 1 mq./10mc- e nello stabilire all’art. 9 comma 1 il principio secondo cui i parcheggi pertinenziali possono essere realizzati anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti), all’art. 11 comma 1 ha equiparato i parcheggi pertinenziali alle opere di urbanizzazione anche per quanto riguarda la gratuità del titolo edilizio.”.

Tale decisione del Consiglio di Stato è stata di recente condivisa da questo T.A.R. con la già citata sentenza di questa Sezione n. 939 del 2014, ove si è osservato che i parcheggi pertinenziali vanno quindi complessivamente qualificati come opere di urbanizzazione e quindi che a tutti (e non già soltanto a quelli previsti per la fruizione collettiva) è stato riconosciuto un rilievo pubblico: può concordarsi in proposito con la tesi per cui la gratuità non va estesa anche ai parcheggi pertinenziali che eccedono la misura minima di legge, atteso che, in carenza di una espressa disposizione di legge in tal senso (e pur nella opinabilità della questione) la interpretazione teleologica consente di affermare che la qualificazione dei parcheggi pertinenziali come opere di urbanizzazione ex art. 11 comma 1 della legge 122/1989 debba rimanere circoscritta entro i confini tracciati dall’art. 41-sexies comma 1 della legge 1150/1942 (di guisa che per i parcheggi eccedenti il “tetto” di dotazione obbligatoria trova applicazione il disposto di cui al D.M più volte citato). Per le chiarite ragioni, quindi, non può accedersi alla tesi del Comune secondo cui a cagione della assenza di espressa abrogazione del citato dm 10 maggio 1977, n. 312400 i parcheggi “equiparati” alle opere di urbanizzazione e conseguentemente esenti dal contributo di costruzione siano soltanto quelli destinati ad uso collettivo. E’ agevole replicare, sul punto, che nulla prova la mancata abrogazione in parte qua del D.M. 10 maggio 1977 in quanto la equiparazione di cui all’art. 11 comma 1 della legge n.122/1989 dei parcheggi pertinenziali alle opere di urbanizzazione non opera per quelli eccedenti la dotazione obbligatoria che quindi risultano normati dal citato D.M..”.

Per quanto concerne, inoltre, l’ulteriore questione relativa all’applicabilità o no dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 (c.d. legge Tognoli) anche agli edifici nuovi e non solo a quelli già esistenti (comma 1, “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”), il Tribunale osserva che l’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, come sostituito dall’art. 2 della citata legge n. 122 del 1989 stabilisce che “…nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”.

Da tale chiaro enunciato scaturisce pertanto la necessità di conteggiare i citati spazi a parcheggio nella dotazione degli standard e quindi la correttezza dell’esclusione delle aree di parcheggio, computate nella dotazione degli standard, dal calcolo degli oneri di costruzione (Consiglio di Stato, IV, 24 novembre 2016, n. 4937 e , da ultima: T.A.R. Lombardia –BS- sez. I^ 11/9/2017 n. 1087).

Consigli di lettura

Casi pratici risolti Oneri di urbanizzazione e costo di costruzione: esonero e riduzione

Casi pratici risolti Oneri di urbanizzazione e costo di costruzione: esonero e riduzione

Mario Petrulli, 2017, Maggioli Editore

Di notevole rilevanza pratica, la materia del contributo di costruzione correlato al rilascio del permesso di costruire (oneri di urbanizzazione e costi di costruzione) è molto spesso oggetto di difficoltà interpretative e di contenzioso, per quanto riguarda le problematiche…


>>> Parcheggi pertinenziali: quale disciplina è applicabile?

Abuso edilizio: onere della prova dell’epoca di realizzazione

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. III Bari, 23 novembre 2017, n. 1213
Massima: L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato e non sull’Amministrazione

 

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato e non sull’Amministrazione la quale – in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi – ha solo il potere/dovere di sanzionarla e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1440; Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 45; Sez. IV, 29 maggio 2014, n. 2782; Sez. IV, 24 agosto 2017, n. 4060).

Solo il privato, infatti, può fornire inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano “in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. In siffatti casi, il privato dispone ed è normalmente in grado di esibire la documentazione idonea a fornire utili elementi di valutazione, quali fotografie con data certa dell’immobile, estratti delle planimetrie catastali, il progetto originario e i suoi allegati” (T.A.R. Napoli, Sez. III, 7 novembre 2017, n. 5212; sez. VIII, 28 agosto 2017, n. 4122).

SCIA: falsa rappresentazione della realtà

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. I Lecce, 23 novembre 2017 n. 1837
Massima: Il limite temporale dei 18 mesi entro cui è possibile l’annullamento di una SCIA non opera nel caso della falsa rappresentazione della realtà

 

Nel caso in cui, in occasione della presentazione di una SCIA, sia stato falsamente rappresentato all’Amministrazione comunale lo stato di fatto dell’immobile preesistente, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, ai sensi del quale “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

Conseguentemente, nel caso specifico, il limite temporale dei 18 mesi entro cui è possibile l’annullamento della SCIA non opera, proprio in conseguenza della falsa rappresentazione dei fatti contenuta negli atti prodromici alla formazione del provvedimento amministrativo: di conseguenza, è legittimo il provvedimento comunale che annulla la SCIA anche successivamente allo spirare del termine di 18 mesi.

Leggi anche Lavori edilizi 2017: quando serve CIL, CILA o SCIA (e quando niente)

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Articolo Per chiudere un portico, che permesso serve? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Ampliare un balcone, quale titolo edilizio serve

Siamo tornati e torna anche la rassegna di sentenze: ecco la selezione del mese di agosto, nella quale si tratta in particolare dei titoli edilizi necessari per ampliare un balcone, per procedere a una diversa distribuzione degli ambienti interni di un appartamento e per un pergolato di dimensioni modeste. Ma anche di:

  • rimozione del Permesso di costruire formatosi con silenzio-assenso;
  • sempre a proposito di Permesso di costruire, una sentenza sulla sua data di inizio e di efficacia e una sulla sua decadenza per lo sbancamento;
  • abuso edilizio: natura e conseguenze del trasferimento dell’immobile.

Ampliamento del balcone: titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. III Napoli, sent. 28 agosto 2017 n. 4143
Massima: Serve il permesso di costruire per l’ampliamento del balcone

 

Come chiarito in precedenza dalla giurisprudenza (cfr., ad esempio, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 28 ottobre 2011, n. 5052), l’ampliamento di un balcone costituisce opera di ristrutturazione edilizia, ai sensi degli artt. 3 e 10 del Testo Unico Edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001), dal momento che realizza un’oggettiva trasformazione della facciata del palazzo, comportante modifica della sagoma, dei prospetti e delle superfici. Il titolo edilizio per la realizzazione di tale intervento risulta, quindi, essere il permesso di costruire e la sanzione per la sua assenza è il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 33 del citato Testo Unico.

Leggi anche: Chiusura di un balcone o terrazzo: serve il permesso di costruire?

Permesso di costruire con silenzio-assenso: rimozione

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. II Catanzaro, sent. 24 agosto 2017 n. 1365
Massima: Il silenzio assenso formatosi sulla domanda di permesso di costruire può essere rimosso mediante l’esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune

 

Il silenzio assenso formatosi sulla domanda di permesso di costruire può essere rimosso mediante l’esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune e tale misura di autotutela consente di contemperare il ripristino della legalità con l’esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l’istituto del silenzio accoglimento.

Tale atto di autotutela trova la sua disciplina normativa nell’art. 21-nonies Legge n. 241/90, che individua le condizioni per l’esercizio in autotutela, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio nell’illegittimità dell’atto amministrativo, nella sussistenza di ragioni di interesse pubblico, nell’esercizio del potere entro un termine ragionevole e nella valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all’atto da rimuovere.

Diversa distribuzione degli interni: titoli edilizi

Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. I, sent. 22 agosto 2017, n. 4098
Massima: La diversa distribuzione degli ambienti interni di un appartamento, mediante eliminazione e spostamento di tramezzature è soggetta alla CILA se non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; viceversa, è necessaria la SCIA

 

La diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell’edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria che la legge riconduce nella attività edilizia libera, soggetta al semplice regime della comunicazione di inizio lavori originariamente in forza dell’art. 6, comma 2, ed ora dell’art. 6 bis del d.P.R. n. 380/01 che disciplina gli interventi subordinati a C.I.L.A. e le conseguenze della omessa comunicazione, e, pertanto, non giustifica l’irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 14 ottobre 2016, n. 4267).

Quando, invece, questo stesso intervento interessa parti strutturali del fabbricato, allora, ai sensi dell’art. 22, co. 1, lett. a), del d.P.R. n. 380/01 la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio di attività, la cui mancanza parimenti comporta, di regola, l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria di cui al successivo art. 37.

Permesso di costruire: data di inizio efficacia

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 28 agosto 2017 n. 4126
Massima: Il permesso di costruire viene ad esistenza con la consegna del provvedimento concessorio al richiedente

 

In ordine al momento in cui deve dirsi perfezionato un permesso di costruire, come ricordato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Napoli, Sez. VIII, n. 666 del 4 febbraio 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata), posto che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è un provvedimento amministrativo “recettizio” (che viene, quindi, ad esistenza con la comunicazione agli interessati – cfr. Consiglio di Stato, V, 27 settembre 1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04 novembre 2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01 settembre 2006, nr. 3166), il termine “rilascio”, riferito al titolo edilizio, che si rinviene nel corpo dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. 380/2001 (“il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”), ancorché in prima lettura non appaia univoco, potendo sostanzialmente significare sia “emanazione”, che “consegna” dell’atto, è in realtà ricollegabile alla materiale consegna di questo, essendo tale significato preferibile poiché più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.

Sempre il significato di “consegna” del titolo, altresì, deve riconnettersi al medesimo termine “rilascio” cui viene fatto riferimento anche nell’art. 12 del D.P.R. 380/2001 (intestato “presupposti per il rilascio del permesso di costruire”).

Pergolato di modeste dimensioni: titolo edilizio richiesto

Estremi della sentenza: TAR Emilia Romagna, sez. Parma, sent. 14 agosto 2017 n. 275
Massima: Il pergolato di modeste dimensioni è un elemento di arredo delle aree pertinenziali degli edifici

 

L’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede che “nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo i seguenti interventi: … e) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”.

Un pergolato in legno, realizzato su pianta di m. 4,93 x 2,53, non ancorato al suolo, e dotato di una copertura in lastre e cannette anche queste amovibili poiché solo appoggiate, non richiede un titolo edilizio ma rientra nell’ambito dell’attività edilizia libera.

La posizione espressa trova conferma nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto la legittimità di simili manufatti aventi struttura in legno ad uso pergolato aperta su più lati ed avente una copertura amovibile poiché inidonee a costituire volume urbanistico (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2016 n. 4711).

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Abuso edilizio: conseguenze del trasferimento dell’immobile

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II quater Roma, sent. 10 agosto 2017 n. 9286
Massima: L’illecito edilizio permane nel caso di trasferimento della titolarità del bene

 

L’abuso edilizio ha carattere permanente e l’estraneità non può infatti essere fatta valere dal nuovo proprietario rispetto alle opere abusive realizzate dal precedente proprietario, perché altrimenti ciò equivarrebbe ad eludere l’applicazione della normativa concernente la repressione degli abusi edilizi; ne consegue che l’illecito edilizio permane nel caso di trasferimento della titolarità del bene (T.A.R. Veneto, sez. II,10 giugno 2009, n. 1723; TAR Campania – Napoli, sez. II, 2 maggio 2012, n. 1968).

Sbancamento: decadenza del permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 7 agosto 2017 n. 990
Massima: Lo sbancamento di un’area non basta a concretizzare un effettivo inizio lavori idoneo ad evitare la decadenza del permesso di costruire

 

Secondo la giurisprudenza nettamente prevalente del Consiglio di Stato (cfr., per tutte, sez. IV – 10/7/2017 n. 3371), ai sensi dell’art. 15 comma 2 del D.P.R. 380/2001, l’effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge, ossia costituisce il riflesso automatico del trascorrere del tempo.

La pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga), ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione, per cui la decadenza opera di diritto, pertanto non è richiesta l’adozione di un provvedimento amministrativo espresso.

La giurisprudenza amministrativa ha altresì stabilito che “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)” (Consiglio di Stato, sez. III – 4/4/2013 n. 1870).

L’inizio dei lavori, idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia, può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera; ad avviso della giurisprudenza, non è sul punto sufficiente la sola esecuzione dei lavori di scavo e di sbancamento, senza che sia messa a punto l’organizzazione del cantiere (la cui assenza è, al contrario, ostativa a concretizzare un effettivo inizio dei lavori).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Articolo Ampliare un balcone, quale titolo edilizio serve di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Ordinanza di demolizione, quando è illegittima?

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze sull’edilizia e l’urbanistica, pubblicate nella corso della scorsa settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono:

  • ordinanza di demolizione in pendenza del termine per controdedurre a seguito di preavviso di rigetto;
  • ripubblicazione di un piano urbanistico;
  • lottizzazione abusiva tramite il cambio di destinazione d’uso;
  • destinazione urbanistica di un’area e relativa motivazione;
  • parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli.

Ordinanza di demolizione

Argomento: Ordinanza di demolizione in pendenza del termine per controdedurre al preavviso di rigetto
Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. Latina, sent. 11 gennaio 2017 n. 11
Massima: È illegittima l’ordinanza di demolizione mentre ancora pende il termine per presentare le controdeduzioni da parte dell’interessato a seguito del preavviso di rigetto

 

L’articolo 38 D.P.R. n. 380 – che disciplina le conseguenze dell’annullamento di un titolo edilizio – prevede, con una disposizione che tiene nel debito conto anche l’interesse di chi abbia realizzato opere facendo in buona fede affidamento sulla loro legittimità, che l’amministrazione in primo luogo verifichi la possibilità di emendare i vizi del titolo.

Solo in caso di acclarata impossibilità le opere (divenute) illegittime vanno rimosse salvo, ove risulti impossibile la rimessione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria (il cui pagamento produce gli effetti di un “accertamento di conformità”).

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Di conseguenza, mentre ancora pende il termine per controdedurre da parte dell’interessato al preavviso di rigetto, è illegittima l’ordinanza di demolizione adottata nel frattempo dal Comune.

In tale contesto, infatti, tale comportamento contraddittorio ed incongruo implicitamente riduce il preavviso di rigetto a un inutile adempimento formale ovvero trasformandolo – il che è peggio – nella reale determinazione definitiva, cioè in una manifestazione di volontà ormai irrevocabile dell’amministrazione rispetto alla quale si esclude a priori che l’apporto del privato possa risultare utile a concorrere alla formazione del provvedimento finale (con conseguente mortificazione dei principi affermati in materia di procedimento dalla legge 7 agosto 1990, n. 241).

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Ripubblicazione di un piano urbanistico

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 9 gennaio 2017 n. 29
Massima: L’obbligo di ripubblicazione è prospettabile solo vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono

 

Un obbligo di ripubblicazione è prospettabile solo quando le modifiche introdotte superino il limite di rispetto dei canoni guida del Piano adottato (TAR Campania Napoli, sez. I, 11 marzo 2015, n. 1510).

In altre parole, solo nell’ipotesi in cui vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7 marzo 2013,  n. 1287) è necessario rinnovare la procedura con la ripubblicazione, mentre tale obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 dicembre 2013,  n. 5769).

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Lottizzazione abusiva nel cambio destinazione d’uso

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 11 gennaio 2017 n. 43
Massima: Il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona

 

È configurabile lottizzazione cartolare, o negoziale, quando, pur in mancanza di opere, ricorrano i casi del frazionamento e della vendita in lotti di un’area, quando essi per dimensioni, per natura del terreno e per numero evidenziano la loro destinazione a scopo edificatorio (T.A.R. Brescia, Lombardia, sez. I, 04 giugno 2015, n. 802).

Il Consiglio di Stato (sez. 5^, 3.1.1998, n. 24) ha rimarcato, al riguardo, che “la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede”.

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Quindi, il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona.

Motivi? Vuoi perché la nuova destinazione non rientra tra quelle contemplate dallo strumento urbanistico vigente per la zona in questione, vuoi perché, pur rientrando tra quelle astrattamente ammissibili, il cambio di destinazione d’uso sia avvenuto in dispregio dei parametri di zona, intesi ad assicurare l’assorbimento del nuovo carico urbanistico da esso indotto mediante la previsione di adeguati standard ed interventi di urbanizzazione.

Conseguenze? Produce effetti squilibranti sull’assetto urbanistico esistente, in termini di alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standard urbanistici, tale da imporre l’intervento riparatore a posteriori della Pubblica Amministrazione, con i conseguenti oneri a carico della finanza pubblica.

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Destinazione urbanistica di un’area

Argomento: Destinazione urbanistica di un’area e relativa motivazione
Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 10 gennaio 2017 n. 42
Massima: La destinazione nella pianificazione urbanistica data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico – discrezionale

 

Le scelte effettuate dalla Pubblica amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico – discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (da ultimo, T.A.R. Torino, sez. I  15 aprile 2016 n. 487; Consiglio di Stato sez. IV  12 maggio 2016 n. 1907).

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In particolare, poi, è stato affermato che in sede di previsione di zona contenuta nel piano medesimo, la valutazione della idoneità di un immobile a soddisfare determinati interessi pubblici piuttosto che altri, costituisce esercizio di un potere discrezionale e pertanto non può essere sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti (T.A.R. Trento, 06 novembre 2001 n. 628; in senso analogo, Consiglio di Stato sez. IV  23 febbraio 1979 n. 111).

Parcheggi sotterranei

Argomento: Parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli
Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 9 gennaio 2017 n. 5
Massima: La costruzione di parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli vale solo per immobili già esistenti e non per edifici nuovi

 

In base alla prevalente giurisprudenza, l’art. 9, l. 24 marzo 1989 n. 122 (c.d. Legge Tognoli), nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno con autorizzazione gratuita e in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti e non anche le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali invece provvede l’art. 2, comma 2, della legge stessa che, nel novellare l’art. 41 sexies, legge fondamentale 17 agosto 1942 n. 1150, stabilisce l’obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq per ogni 10 mc di costruzione (Consiglio di Stato sez. VI 09 febbraio 2015 n. 637).

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