Decadenza permesso di costruire, una foto aerea di Google Earth prova il mancato inizio lavori?

Come ogni settimana, ecco la selezione delle sentenze di edilizia e urbanistica pubblicate tra il 29 gennaio e il 2 di febbraio. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: Decadenza permesso di costruire per mancato inizio lavori (insufficienza di una foto aerea Google Earth) Tettoia (titolo edilizio necessario), Soppalco (titolo edilizio necessario), Abusi edilizi (affidamento nell’autore, esclusione e, se su suolo pubblico, necessità ordine di demolizione, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento), SCIA (poteri inibitori, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento), Volturazione del titolo edilizio (effetto liberatorio rispetto agli oneri concessori).

Decadenza permesso di costruire per mancato inizio lavori: insufficienza di una foto aerea Google Earth

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 31 gennaio 2018, n. 54
Massima: Una foto aerea di Google Earth non è sufficiente per dichiarare la decadenza del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori

L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con il permesso di costruire incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto adottato devono essere accertati dall’autorità emanante.

La giurisprudenza ritiene che le foto aeree di Google Earth non assicurino con certezza la data del rilevamento; ad esempio, è stato affermato che “il Collegio non ritiene che i rilevamenti tratti da Google Earth prodotti in giudizio possano costituire, di per sé ed in assenza di più circostanziati elementi che la ricorrente non ha fornito, documenti idonei al prefato scopo e ciò, in particolare, in considerazione della provenienza del suddetto rilevamento, delle incertezze in merito all’epoca di risalenza delle immagini visualizzate (come emerge dallo stesso sito – alla pagina: https://support.google.com/earth/answer/21417?hl=it – per impostazione predefinita il software “visualizza le immagini di qualità migliore disponibili per una determinata località”, con la precisazione che “a volte potrebbero essere visualizzate immagini meno recenti se sono più nitide rispetto a quelle più recenti”), della genericità delle informazioni relative ai metodi di esecuzione del rilevamento medesimo” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 27 novembre 2014 n. 6118).

Di conseguenza, il provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire basato esclusivamente su una foto aerea Google Earth è carente di motivazione e, conseguentemente, illegittimo.

Tettoia, titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VII Salerno, sent. 30 gennaio 2018 n. 649
Massima: Serve il permesso di costruire per le tettoie di rilevanti dimensioni

Secondo una consolidata giurisprudenza, (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 19 dicembre 2005, n. 20427; 29 luglio 2005, n. 10479; 2 dicembre 2004, n. 18027), la realizzazione di una tettoia è soggetta al preventivo rilascio del permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide sull’assetto edilizio preesistente.

Di conseguenza, è necessario il suddetto titolo edilizio per la realizzazione di 4 tettoie di rilevanti dimensioni (mq 19 circa; mq 31 circa; mq 86 circa; mq 58 circa), come tali certamente idonee ad incidere sull’assetto edilizio.

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Soppalco, titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 31 gennaio 2018 n. 693
Massima: È necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico

Com’è noto, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. In linea di principio, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico; si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile (Consiglio di Stato, sez. VI, 02/03/2017, n. 985).

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In linea con l’indirizzo suindicato si dispiega la giurisprudenza che ha, di recente, evidenziato come la realizzazione di un soppalco non rientra nell’ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo, ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell’appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (cfr. Tar Sardegna, Sez. II, 23 settembre 2011, n. 952; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 11 luglio 2011, n. 1863; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 21 marzo 2011, n. 1586).

Abusi edilizi: affidamento nell’autore, esclusione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 29 gennaio 2018 n. 231
Massima: La commissione di abusi edilizi non può ingenerare nell’autore dell’abuso alcun affidamento, e ciò a prescindere dal decorso del tempo che comunque non estingue il potere sanzionatorio della p.a., che al contrario è tenuta anche penalmente a perseguire le violazioni edilizie in qualunque tempo accertate

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2017, n. 908; Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4205; Sez., IV, 31 agosto 2016, n. 3750) che la commissione di abusi edilizi non può ingenerare nell’autore dell’abuso alcun affidamento, e ciò a prescindere dal decorso del tempo che comunque non estingue il potere sanzionatorio della p.a., che al contrario è tenuta anche penalmente a perseguire le violazioni edilizie in qualunque tempo accertate.

Peraltro, con una recente decisione, il Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9) ha confermato questo indirizzo giurisprudenziale e ne ha fornito, ove fossero mancate, ulteriori ragioni argomentative, chiarendo che: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.

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Abuso edilizio su suolo pubblico: necessità dell’ordine di demolizione e non necessità della comunicazione di avvio del procedimento

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. III Salerno, sent. 30 gennaio 2018 n. 654
Massima: L’ordine di demolizione è l’unica sanzione possibile per l’abuso realizzato su suolo di proprietà pubblica e non deve essere proceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento

Secondo la giurisprudenza, la circostanza che l’abuso sia stato realizzato su suolo di proprietà dello Stato determina l’applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/01, che in tale ipotesi prevede, quale unica ed esclusiva conseguenza, la demolizione a spese del responsabile.

La norma non contempla alcuna ipotesi alternativa alla demolizione, essendo evidentemente preordinata a evitare l’indebito utilizzo del bene demaniale per cui, nei casi di edificazione “contra legem”, non occorre alcun accertamento ulteriore e occorre verificare solo che trattasi di suolo di proprietà pubblica e che nessun titolo è stato rilasciato. Pertanto, dall’abusività dell’opera scaturisce con carattere vincolato l’ordine di demolizione, che in ragione di tale sua natura non esige una specifica motivazione o la comparazione dei contrapposti interessi, né deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento o tener conto del lasso di tempo intercorso (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 28 aprile 2014 n. 2196; T.A.R. Campania, sez. III, 14.4.2015, n. 2098).

SCIA: poteri inibitori, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento

Estremi della sentenza: TAR Veneto, sez. III, sent. 31 gennaio 2018 n. 95
Massima: Per l’esercizio dei poteri inibitori in materia di SCIA non è richiesta la comunicazione di avvio del procedimento né il preavviso di rigetto

La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività – che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge – induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento o il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. T.A.R. Campania Napoli n. 3896/2017, T.A.R. Catanzaro (Calabria), sez. II, 5 marzo 2015, n. 478, Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3112, 14 aprile 2014, n. 1800 e 25 gennaio 2013, n. 489).

Il denunciante la SCIA è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso della. P.A. e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione. In assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’amministrazione (T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 04/03/2016, n. 79).

Volturazione del titolo edilizio: effetto liberatorio rispetto agli oneri concessori

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. I Catanzaro, sent. 29 gennaio 2018 n. 277
Massima: Solo con la volturazione del titolo edilizio concordata con l’amministrazione il precedente titolare del bene può essere liberato dal pagamento degli oneri concessori

I trasferimenti della proprietà del bene su cui incide l’attività edilizia assentita non hanno efficacia nel rapporto pubblicistico che sorge per effetto del rilascio del provvedimento di assenso, salvo che non vi sia una novazione soggettiva, come tale però concordata con l’amministrazione. Come indicato in passato dalla giurisprudenza, infatti, (T.A.R. Toscana, Sez. III, 12 marzo 2014 n. 493, T.A.R. Molise, 25 luglio 2012 n. 27), “L’originario titolare di un permesso di costruire può liberarsi dagli obblighi connessi al titolo, nel caso in cui alieni il terreno da edificare — ovvero l’edificio in costruzione — cedendo il titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con tale atto, il Comune autorizza l’acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l’accollo degli oneri concessori da parte dell’acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare”.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Gli interventi edilizi: definizioni e titoli abilitativi - II edizione

Gli interventi edilizi: definizioni e titoli abilitativi – II edizione

M. Petrulli, A. Mafrica, 2017, Maggioli


Articolo Decadenza permesso di costruire, una foto aerea di Google Earth prova il mancato inizio lavori? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Impermeabilizzazioni in edilizia: al tecnico chiedete il PERCHÈ delle cose

Sempre più ci troviamo a affrontare emergenze e sempre nel momento sbagliato. Passare giorni di festa a casa con il tetto che perde mentre fuori c’è la tempesta, essere malati con il vicino che si lamenta perché il balcone gocciola non è certamente la migliore delle situazioni; eppure è la normalità.

Proprio questa mattina un amico applicatore mi ha chiesto: perché non mi trovi una certificazione vera che mi possa finalmente differenziare da tutti gli altri? Certificazioni ce ne sono tante, ma nessuna è unanimemente accettata. Ci sono le norme UNI (che qualche avvocato smonta immediatamente perché non liberamente accessibili), ci sono i certificati dati dai produttori ma il loro senso è più commerciale che altro. Effettivamente non esiste nulla che possa qualificare un posatore, se non la propria storia e la voglia di evolversi.

Impermeabilizzazioni in edilizia: che caratteristiche deve avere il tecnico?

A dire il vero, esiste una piccola cosa che potrebbe essere utile: la Camera di Commercio tiene un albo che si chiama “dei Periti e degli Esperti”. Si tratta di un elenco, di tantissime materie eterogenee, dove le persone (è personale) possono iscriversi provando di essere capaci di trattare una determinata materia. Per l’iscrizione (è molto “cheap”, basta un bollo da 16€) bisogna presentare non solo il curriculum scolastico ma anche le credenziali tecniche (io ad esempio oltre alle relazioni più importanti ho portato anche il mio libro sulla progettazione dei dettagli impermeabilizzativi) che possono essere formate da tutta la documentazione che si può avere. Particolare importante: il primo documento di credenziale tecnica (una perizia o relazione tecnica) deve avere almeno 5 anni e bisogna dimostrare che non sia stata un’attività occasionale.

Peccato che questa iscrizione valga solo per la parte peritale. Certo, una persona che dimostra di essere capace in una singola materia per fare una perizia dovrebbe essere capace anche di progettare e, quindi, di risolverci i problemi al tetto o al terrazzo. Non è sempre così: chi sono i veri e propri esperti nel settore impermeabilizzazioni?

Beh, teoricamente tutti coloro che trattano la materia: tecnici aziendali, venditori, applicatori e progettisti che si sono formati autonomamente (non esiste un corso universitario o altro sulla progettazione di applicazioni impermeabili). Sinceramente la questione non è cosa fa un esperto per vivere ma quale sia la sua moralità professionale e se questa possa andare contro il suo lavoro principale.

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Il venditore perito e il perito applicatore

Vi faccio un esempio: se un venditore di una nota marca di prodotti per impermeabilizzazioni viene chiamato come perito, perché riconosciuto come vero esperto, e si trova davanti a un difetto conclamato del prodotto che lui stesso ha venduto, come si comporta? È abbastanza onesto da dare contro l’azienda che gli da da mangiare? È abbastanza onesto da rinunciare all’incarico per evidente conflitto d’interessi?

Altra situazione, forse peggiore, è il caso in cui il perito chiamato sia un applicatore: cosa succede se il cantiere dove viene interpellato è un lavoro che ha perso a causa di un’offerta migliore di un concorrente? Siamo sicuri che sia così forte da non approfittare della sua momentanea situazione di potere? Siamo sicuri che sia veramente competente nella materia e non sia solo ed esclusivamente una persona formatasi nei corsi commerciali di una nota marca di prodotti?

Insomma la scelta è veramente difficile. A oggi il solo modo di poter scegliere un vero e proprio tecnico è quella di poter consultare il suo curriculum vitae e di poterlo verificare. Visto che quanto una persona fa nella propria vita non sempre è controllabile, l’unico mezzo per verificare le sue capacità è controllare i suoi movimenti sui social network o nelle occasioni pubbliche. Soprattutto, ricordatevi, la soluzione a tutte le vostre domande è un’altra domanda che dovete fare al tecnico che interpellerete: Perché?

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Impermeabilizzazioni in edilizia: perchè?

Perché è la domanda più potente del mondo! I bambini fanno questa domanda da piccoli per sapere come sono fatte le cose che imparano. Anche noi dobbiamo tornare un po’ bambini e non aver paura di chiedere perché quella che ci propongono è la soluzione opportuna! Se la risposta è titubante o lascia a desiderare o, semplicemente, è la copia di un depliant commerciale, lasciate perdere!

Solo chi è veramente esperto può rispondere a questa semplice ma potentissima domanda. A questo punto poco importa quale sia il suo mestiere, siete sicuri che è capace! Quindi vi esorto a fare una cosa: non abbiate paura di chiamare un esperto, non abbiate paura di pagare quanto chiede ma pretendete sempre una relazione scritta che spieghi in modo inequivocabile il perché certe cose avvengono e, soprattutto, il perché la soluzione proposta è quella giusta!

Buona vita a tutti… soprattutto asciutta!

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Ambienti confinati: sono ovunque intorno a noi

Ambienti non ideati e non realizzati per la presenza dell’uomo, con grosse difficoltà di movimento ed enorme scomodità nell’uscita, con aria viziata e rarefatta, inquinata e caratterizzata dalla quasi totale assenza di ossigeno o comunque scarsa ventilazione. Sono gli ambienti confinati, spazi che spesso diventano trappole mortali, per come sono definiti nella normativa italiana.

Parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro dopo quanto successo nelle passate settimane è pesante. Ma certo non si può più aspettare ancora, pur utilizzando la massima sensibilità possibile (che comunque non sarà ancora abbastanza). Gli ambienti confinati, come già accennato, sono tutti quei luoghi non idonei per l’attività umana, non progettati e realizzati perché potesse svolgersi all’interno attività alcuna, con ricircolo e ricambio d’aria scarso o nullo, difficoltà di uscita una volta che vi si è all’interno.

Ambienti confinati, manca un orientamento

Nell’ambito lavorativo, gli incidenti negli ambienti confinati sono i più pericolosi, fatali a dirla tutta. Le statistiche sono impietose: gli incidenti che accadono sono mortali e comprendono quasi sempre più persone. Gli ambienti confinati necessitano di maggiore studio e attenzione e certo non sono possibili grovigli illeggibili e incomprensibili di leggi in materie di minore importanza mentre per la totale assenza di insegnamenti e restrizioni normative i lavoratori perdono la vita sul posto di lavoro. Ciò non significa che ci siano materie legislative di serie A o serie B o che il Testo Unico 81/2008 sia da rivedere, anzi, significa che si consta una pressoché totale assenza di qualsivoglia riferimento che fornisca una traccia a chi si trovi a lavorare con ambienti pericolosi, in probabile assenza delle condizioni idonee per la normale respirazione umana.

L’unica norma emanata in materia è il Decreto 177/2011 (a integrazione dell’allegato IV del T.U. 81/2008, punto 3) che ha iniziato un percorso rimasto però ancora incompiuto: quello che porta alla corretta informazione di tutti i lavoratori e della popolazione in generale sulla pericolosità degli ambienti confinati. Potrà sembrare un argomento distante, ma la verità è che intorno a noi ne esistono moltissimi esempi senza che si vadano a ricercare gli immobili prettamente industriali o artigianali. Vasche di liquame, vasche di raccolta degli spurghi abitativi, cisterne, bomboloni del GPL, benzina o altri gas o liquidi, botti per la fermentazione alimentare (vino, lievito, farine), silos, tubazioni sotterranee sono tutti esempi di luoghi o attrezzature che si possono trovare tutto intorno a noi, da una zona industriale ad una agricola o ancora in zone periferiche o isolate dove le abitazioni non sono servite dalla pubblica fognatura.

Ambienti confinati: compiti di impresa e lavoratori

Nel nostro ordinamento giuridico si prevede che per lavorare in tali ambienti serva una precisa abilitazione e una accurata organizzazione dell’impresa, con almeno il 30% di personale con esperienza almeno triennale in tale ambito lavorativo, con situazioni contrattuali stabili (tempo indeterminato). L’impresa deve provvedere alla adeguata sorveglianza sanitaria e alla fornitura dei Dispositivi di Protezione Individuali necessari per lo svolgimento dell’attività. Inoltre tutte le maestranze impiegate devono essere debitamente informate dalla committenza sulle caratteristiche dell’ambiente in cui opereranno e tale prescrizione deve avvenire per la durata di almeno un giorno (fatto piuttosto particolare poiché non si può ricondurre alla durata di un giorno l’informazione dovuta per qualunque caso lavorativo). Le attività devono inoltre esser organizzate per ridurre al minimo, o eliminare, i rischi e con le previsioni di eventuali fase critiche di rischio elevato e di soccorso da attuare in coordinamento con il servizio sanitario nazionale d’emergenza o i Vigili del Fuoco.

Più formazione per il settore edile: l’elettricista maldestro

Ora, bisognerebbe probabilmente fare in modo che i lavoratori del settore edile siano più informati su tali situazioni di pericolo, quand’anche lavorino per un’impresa non abilitata allo svolgimento dell’esame attività negli ambienti confinanti, quanto meno al fine di poter riconoscere questi ultimi con gli annessi pericoli. A giustificazione di ciò si pensi a un semplice esempio: la rottura di parti elettriche presenti all’interno di una cisterna in acciaio inox per la fermentazione e conservazione dei prodotti vinicoli (una ventolina che permette di miscelare il vino o un marchingegno elettronico che misura temperatura o altri fattori). A eseguire la riparazione in loco potrebbe esser un elettricista qualunque, infilando il busto all’interno della cisterna per poter operare. Quasi nessun elettricista ha l’abilitazione ad operare in ambienti confinati poiché quando mai un elettricista pensa di dover lavorare in un ambiente confinato?! Ma nell’esempio in questione il busto viene completamente infilato all’interno di una cisterna senza neanche sapere che qualità di aria vi si trova all’interno. Per un lavoratore in tal caso è fondamentale almeno riconoscere il pericolo e agire di conseguenza con delle verifiche prima di addentrarsi per la riparazione o sospendere momentaneamente la lavorazione in attesa di maggiori informazioni sulla cisterna.

Le verifiche necessarie sono quanto meno sulla quantità di ossigeno presente. Per la respirazione umana è necessario che ne sia presente almeno una quantità pari al 17% (minimo livello vitale), anche se alcuni studi presentano valori più alti, almeno del 19%, anche in virtù del fatto che durante un’attività lavorativa il consumo di ossigeno è maggiore. In ogni caso le precauzioni non sono mai troppe. Devono esser presenti aperture di accesso con dimensioni non inferiori a 30×40 centimetri di larghezza, l’impossibilità del subappalto ed altre prescrizioni contenute anche nell’Allegato 4 al T.U. 81/2008 al punto 3) e nel DPR 177/2011. Tutto ciò deve esser eseguito non solo quando si è riconosciuto l’effettivo pericolo, ma anche quando non è possibile escluderne la potenzialità. Il più delle volte però il pericolo non viene tempestivamente riconosciuto e anche la fase dei soccorsi non viene eseguita in modo sicuro per i soccorritori.

A proposito, consigli per gli acquisti

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Il manuale esamina nel dettaglio il Testo Unico di Sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81). La trattazione, pur affrontando l’esame delle norme, è sempre rivolta alla loro attenta ricostruzione sistematica, proponendo anche soluzioni interpretative dei punti maggiormente…


Conclusioni

In tutto questo quadretto sembrerebbe quanto mai opportuno obbligare nei vari corsi di formazione e nella redazione dei Documenti di Valutazione dei Rischi (che non devono rappresentare un semplice incartamento burocratico) la valutazione della possibilità di trovarsi davanti ai pericoli trattati nell’articolo, con la speranza che si possano limitare sempre di più quegli incidenti che sarebbero evitabili con una buona informazione preventiva e con metodi operativi che aiutino la respirazione dei lavoratori, evitando altresì di trascinare nel rischio gli eventuali soccorritori, nei cosiddetti “incidenti a grappolo” di cui non si vorrebbe certo parlare.

Immagine in apertura: testo-unico-sicurezza.com

Articolo Ambienti confinati: sono ovunque intorno a noi di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Impermeabilizzazione in edilizia: come posare le guaine bituminose

Tantissime volte ho parlato di come eseguire la scelta di un sistema impermeabile, ho discusso di quali caratteristiche deve avere un sistema impermeabile e di come deve essere posato, ho spiegato valore per valore cosa vogliono dire i dati riportati sulle schede tecniche dei materiali impermeabili. Una cosa però non ho mai spiegato: come si fa a capire se una posa è corretta oppure no?

Forse a causa di un atto di arroganza da parte mia, ho sempre pensato che anche i professionisti della progettazione e non solo quelli esperti di impermeabilizzazione fossero edotti di come si posa uno dei sistemi più vecchi in assoluto: le guaine bituminose. Ebbene, le guaine bituminose, per riassumere, possono essere posate nei seguenti modi:

  • a colla
  • in autoaderenza
  • a fiamma
  • con fissaggio meccanico

Le uniche soluzioni che danno l’aderenza al 100% sono solo le prime due (a colla e in autoaderenza) in quanto vi è uno strato adesivo (che sia applicato o sia spalmato sulla membrana stessa) che viene rullato ed ogni sua parte aderisce al supporto e mantiene il telo bituminoso totalmente incollato. La posa a fiamma, invece, può essere suddivisa in: posa in totale aderenza e posa per punti.

Chiariamoci subito: per posa in totale aderenza non si intende con adesione al 100% ma prevede che la fiamma venga passata in ogni parte del lato della guaina da appoggiare al supporto. Come potete immaginare benissimo la posa a fiamma avrà dei punti che sono particolarmente aderenti ed altri che non solo sono. Secondo le statistiche, si ritiene (non esiste norma o linea guida) che una guaina posata perfettamente in “totale aderenza a fiamma” avrà un’aderenza finale superiore a 70%; nel caso dei verticali questa sarà superiore al 50%. Proprio l’altro giorno in cantiere mi è stato fatto osservare che al 50% è semiaderenza, non totale aderenza. Purtroppo la questione è puramente semantica! Non riguarda il lavoro in sé.

Impermeabilizzazione verticale: l’aderenza al 50% è adeguata

A questo punto è necessario capire perché una posa sui verticali al 50% è ritenuta adeguata. Bisogna pensare che quanto un sistema impermeabile bituminoso viene posato sul piano verticale di una fondazione questo dovrà resistere autonomamente, aderente al supporto, fin quando non verrà interrato. Da quel momento in poi lo strato impermeabile verrà compresso al muro di fondazione dalla terra (o quello che verrà messo al suo posto) che farà le veci di un vero e proprio fissaggio meccanico. Quindi perché una posa in totale aderenza a fiamma su un piano verticali di fondazione sia considerata a regola d’arte è necessario che:

  • la guaina sia stata sfiammata in tutte le sue parti;
  • le giunzioni tra i rotoli siano stati posati correttamente (schiacciati e non stuccati);
  • che i punti iniziali e terminali dei rotoli siano aderenti al 100%;
  • che i rotoli posati non siano superiori a 3m di altezza;
  • che non vi siano tagli o danneggiamenti della membrana;
  • che il supporto sia il più vicino possibile al piano liscio (nel caso è necessario prevedere una rasatura con materiali che siano resististenti quanto il calcestruzzo che è stato usato).

Impermeabilizzazione: la protezione meccanica

Altro punto fondamentale è la protezione meccanica che è necessario inserire tra la guaina e il riempimento; normalmente si usano i teli in HDPE bugnati. A lungo termine, si è sperimentato troppe volte, danneggiano la membrana ed è meglio non utilizzarli, invece la migliore protezione è data da un geocomposito formato da una tramatura casuale in HDPE ricompresa tra due TNT (tessuto non tessuto).

L’importanza della membrana

Terzo punto importantissimo: la membrana dovrà essere additivata con il master anti radice. Non basta pensare che c’è il geocomposito che funge da anti radice o qualsiasi altro elemento separatore, nel lungo termine le radici degli alberi sono in grado di raggiungere ugualmente lo strato bituminoso ed è meglio proteggerlo in modo tale che non siano necessari interventi di manutenzione straordinaria molto costosi.
Ultimo ma non meno importante: se la membrana finisce sul piano verticale è necessario che venga fissata meccanicamente in testa e sigillata con una piccola scossalina o un battiscopa.

Ricordo sempre che tutti i sistemi impermeabili devono fuoriuscire dal piano di calpestio di almeno 15 cm. Quindi che venga posto sotto intonaco, che venga fissato a vista con una scossalina, che venga coperto da un battiscopa o qualsiasi altra soluzione, anche le membrane poste in fondazione devono rispettare questa regola.

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Radon presente in casa: cosa bisogna fare per bonificare?

Il Radon è un elemento chimico naturale, facente parte della famiglia dei gas nobili, deriva dal decadimento nucleare del Radio, derivato a sua volta da quello dell’Uranio. La caratteristica principale è la sua radioattività ed essendo un gas è in grado di spostarsi agevolmente fra gli interstizi del terreno, risalire in superficie ed entrare all’interno delle abitazioni, dove può raggiungere concentrazioni alte concentrazioni e diventare molto pericoloso per gli abitanti.

Il pericolo per la salute dell’uomo è causato dai prodotti del decadimento nucleare, i quali essendo elettricamente carichi, si attaccano al pulviscolo presente nell’aria, che viene inalato mediante la respirazione e depositato nei tessuti polmonari, in particolare nell’albero bronchiale. A causa del Radon oggi in Italia muoiono circa 3.500 persone l’anno con una forbice che si allarga alle 6.000 unità: una vera strage.

Sullo stesso argomento, leggi anche l’articolo di Denis Sugan sulle strategie di intervento in caso di rischio di presenza di questo pericoloso gas radioattivo

Le fonti di ingresso del Radon nelle case

Tutti possiamo essere in pericolo.

Il Radon infatti ha molteplici vie di ingresso all’interno degli edifici,la dinamica di emissione e spostamento del Radon dal suolo all’interno delle case è complessa e dipende da svariati fattori.

I principali sono:

– Il grado di fratturazione delle rocce, in quanto all’interno di rocce compatte il Radon rimane imprigionato, mentre in quelle fratturate può muoversi liberamente; può inoltre essere veicolato da acque contaminate, direttamente o tramite i suoi predecessori (Uranio e Radio), che decadendo lo liberano nel terreno.

– La permeabilità del terreno, dato che più un terreno è permeabile, più è facile che il Radon riesca ad arrivare in superficie, tramite correnti d’aria o fuoriuscita di acqua sorgiva Al contrario un terreno compatto, ad alta presenza di limo e argilla, può costituire una forte barriera alla sua diffusione.

– Le variazioni di temperatura e di pressione dell’aria tra l’interno e l’esterno degli edifici, che provoca oscillazioni stagionali e giornaliere delle concentrazioni di Radon. In genere tali concentrazioni sono maggiori d’inverno che d’estate e durante la notte che durante il giorno. Dipendendo da svariati fattori, tali situazioni sono comunque molto variabili.

Gli edifici svolgono un ruolo attivo, in quanto a causa dei moti convettivi dovuti al riscaldamento, si crea un effetto camino che porta ad avere una depressione nei piani bassi dell’edificio, favorendo così l’ingresso del Radon.

Altri fattori causa di depressione all’interno degli ambienti sono le canne fumarie, impianti di scarico, aspiratori meccanici ed il vento.

L’infiltrazione nelle abitazioni può avvenire in diversi punti:

– crepe e giunti in pavimenti e pareti, fori di passaggio dei cavi, tubazioni e fognature;

– pozzetti ed aperture di controllo;

– prese di luce ed altre aperture nelle pareti delle cantine, camini, ascensori, montacarichi;

– componenti costruttivi permeabili quali solai in legno, laterizi forati, muri in pietra e simili.

Per approfondire ulteriormente anche gli altri inquinanti indoor, consigliamo di leggere questo breve decalogo per prevenire l’inquinamento in casa

Radon presente in casa: cosa fare

La prima cosa da fare se si abita o si lavora in edifici sospetti, è quella di misurare la concentrazione negli ambienti chiusi. Le misurazioni devono coprire un intero anno solare poiché i valori del Radon sono variabili nell’arco della giornata e dell’anno. Ci si può rivolgere a tecnici esperti qualificati / come gli Esperti in Edificio Salubre, oppure, con una piccola spesa (circa 30/40 € inclusa l’analisi di laboratorio), si può acquistare un kit per la misurazione fai da te. Il dispositivo per la misurazione è un dosimetro molto piccolo va  posizionato nell’ambiente che si vuole monitorare e, al termine dell’esposizione, va restituito per l’analisi. Di solito per le analisi e la relazione si da incarico all’Arpa locale, all’Enea, ma esistono molti laboratori privati.

Bonifica da Radon

Una volta accertata la presenza di Radon, si può diminuirne la pericolosità con il supporto di un tecnico che decide quale azione di rimedio più appropriata può essere vantaggiosa per risolvere la problematica. Le azioni di rimedio sono:

  • depressurizzazione del terreno, aerazione degli ambienti;
  • aspirazione dell’aria interna specialmente in cantina;
  • pressurizzazione dell’edificio, ventilazione forzata del vespaio;
  • impermeabilizzazione del pavimento;
  • sigillatura di crepe e fessure;
  • isolamento di porte comunicanti con le cantine;
  • ventilazione forzata del vespaio.

I costi di bonifica, in base alla concentrazione di gas e alla struttura dell’edificio, possono variare da 500 a 3.000 €. Il metodo più efficace ed immediato – ma provvisorio e, d’inverno sicuramente  dispendioso – per liberarsi del gas è arieggiare correttamente ad esempio le finestre devono essere aperte almeno tre volte al giorno per dieci minuti, iniziando dai locali posti ai livelli più bassi; la chiusura, invece, deve iniziare dai piani più alti, per limitare l’effetto “camino”.

Il problema è differente per gli edifici nuovi. Una semplice prevenzione può ridurre il rischio e limitare i costi: intervenendo già in fase di predisposizione dei piani urbanistici e, soprattutto, di progettazione degli edifici. È indispensabile, ad esempio, monitorare il terreno anche dopo lo scavo delle fondazioni, isolare l’edificio dal suolo mediante vespai o pavimenti galleggianti ben ventilati, impermeabilizzare i pavimenti e le pareti delle cantine con guaine isolanti, evitare collegamenti diretti con interrati o seminterrati, isolare le canalizzazioni degli impianti, usare materiali non sospetti: sabbia, ghiaia, calce sono quasi sempre innocui; così come la pietra calcarea, il gesso naturale, il legno, il cemento puro e quello alleggerito.

Entro il 2018 per tutti i luoghi di attività “aperti al pubblico” sarà necessaria la valutazione certificata Radioattività GAS RADON

Il 17 gennaio 2014 è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale Europea la Direttiva 2013/59/Euratom che rivoluziona il campo delle radiazioni ionizzanti ed in particolare del Radon. In particolare, l’Italia entro il 6 febbraio 2018 dovrà emanare delle disposizioni nazionali che attuino tali indicazioni europee.

Tutti gli articoli dedicati alla salubrità degli edifici sono raccolti nel nostro Dossier Inquinamento Indoor.

Un’opportunità per i tecnici del settore edile

Considerato che la norma prevede per tutti i luoghi di attività “aperti al pubblico” e per quelli che comunque hanno vani interrati e seminterrati, ci sarà l’obbligo di verifica da parte del datore di lavoro della concentrazione del Radon, mediante monitoraggio con uso di dosimetri passivi da parte di laboratori autorizzati, sarà necessario collocare i dosimetri all’interno delle strutture. I risultati del monitoraggio che avverrà nell’arco dei 12 mesi come previsto dalla normativa, insieme alla  relazione di un tecnico  Esperto, dovranno poi essere trasmessi al Comune di appartenenza ed all’ARPA.

La stessa procedura dovrà poi essere ripetuta ogni 5 anni

In caso di mancata trasmissione delle misurazioni entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dalla legge, il Comune deve intimare, con ordinanza, la trasmissione delle misurazioni svolte, concedendo un termine non superiore a trenta giorni, la cui eventuale e infruttuosa scadenza comporta la sospensione della certificazione di agibilità e conseguente sospensione dell’attività esercitata.

Appare quindi evidente che i locali aperti al pubblico e le strutture ricettive  devono iniziare immediatamente il monitoraggio per due semestri al fine di poter rispettare l’obbligo di scadenza. Visti i tempi ristretti imposti dalla norma e soprattutto la delicatezza della sanzione (sospensione agibilità e attività) occorre procedere con sollecitudine all’avvio del monitoraggio e se la concentrazione di radon supera il livello d’azione (pari a 500 Bq m-3), il datore di lavoro è obbligato ad intraprendere azioni finalizzate alla riduzione dell’esposizione al radon dei lavoratori e degli occupanti. Gli Amministratori di Condominio sono tenuti ad attivarsi, soprattutto per gli immobili che includono attività commerciali, uffici, studi, laboratori, palestre, ect.

Per poter adempiere all’incarico si suggerisce al tecnico di acquisire:

  • la planimetria degli immobili, per l’individuazione delle aree da monitorare
  • l’autorizzazione ad acquisire tre preventivi dagli Enti preposti (Arpa, Enea, ecc) per l’acquisizione dei dosimetri e la relazione finale.

È bene a titolo informativo che il tecnico faccia presente ai committenti che il radon non ha effetti dannosi immediati, ma solo tardivi e solo da una ventina d’anni è stato riconosciuto la causa dei tumori polmonari e in Italia rappresenta la seconda causa di morte dopo il fumo di sigaretta. L’esposizione degli affittuari , dei lavoratori, degli impiegati, espone i proprietari ed i  titolari delle licenze commerciali, di ristoro, ecc. alla responsabilità per danni alla salute, la cui tutela giuridica trova il suo fondamento normativo nella Carta Costituzionale ( artt. 2, 3, 32 Cost. ), che ha dato i suoi frutti a partire dagli anni 70, con importanti sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione.

La casa salubre

La casa salubre

Del Corno Barbara, Pennisi Alessandra, 2014, Maggioli Editore

Una casa, per essere definita ?salubre?,?deve rispondere a molteplici requisiti che garantiscano il benessere di chi la abita.
Gli elementi principali sono:? benessere ambientale, legato a fattori quali temperatura, umidit?, ventilazione e luminosit?? salubrit? dei materiali utilizzati?…


Articolo Radon presente in casa: cosa bisogna fare per bonificare? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Le Tecnologie leggere in edilizia per l’ambiente

La tecnologia rappresenta da sempre la possibilità di determinare per la società – rispetto ai bisogni – , l’innovazione , la risposta ai problemi che il quotidiano e lo straordinario richiedono.

In questo filone ideologico la tecnica si muove promuovendo attraverso la ricerca scientifica nuove soluzioni, che spesso non prescindono dalla storia del costruito  e dalle sue implicazioni didattiche formative.

La scoperta delle caratteristiche fisiche-meccaniche dei materiali grazie agli studi condotti da Hooke ha contribuito nella storia del costruire a sviluppare una nuova consapevolezza progettuale capace di evolversi morfologicamente e di svincolarsi da forme precostituite.

Tecnologie leggere: studi 1 di 4

Pensare alla forma dell’arco e rivisitare il suo principio costitutivo, che partendo dalla catenaria – forma ottenuta dalla distribuzione di un sistema di vettori carichi paralleli nel piano, che determina la possibilità di trasferire i carichi sfruttando la caratteristica di resistenza di compressione del materiale- ; ha contribuito insieme allo sviluppo del principio di membrana – capacità degli elementi sottili orizzontali di resistere ai soli sforzi di  trazione rispetto alla distribuzione di carichi verticali –; di allargare gli orizzonti progettuali verso la creazione di strutture leggere, la cui funzione oggi come allora rispondeva al soddisfacimento di alcune esigenze della contemporaneità.

Se per leggerezza intendiamo un modo semplice di applicare le conquiste ottenute dalla tecnologia, allora si può pensare ad un ambiente costruito in cui a regola d’arte ove la sostenibilità viene garantita dalla semplicità delle soluzioni .

Tecnologie leggere: studi 2 di 4

La tensostruttura rappresenta  un percorso evolutivo della forma dell’arco in cui si incarna la sinergia tra leggerezza e resistenza e  la flessibilità e versatilità spaziale-funzionale , che si traduce nella possibilità nei confini del dibattito attuale sulla tutela ambientale , di proporre come strategia la minimizzazione dell’uso del suolo verde e al contempo di creare nuovi scenari tematici nel quadro delle strategie di politiche territoriali volte all’integrazione socio-urbanistica.

Tecnologie leggere: studi 3 di 4

Il tema della rigenerazione urbana , connessa alla resilienza territoriale offrono lo spunto per ricercare nuove strategie atte al recupero funzionale e socio-economico di contesti caratterizzati  da molteplici vincoli -sia di ordine paesaggistico che ambientale -, in cui l’approccio programmatico ha come esigenza di perseguire un modus operandi leggero e sopratutto di semplice realizzazione. Nel quadro dell’emergenza sismica territoriale , del rischio idrogeologico e quelli connessi alla vulcanologia , l’utilizzo delle tecnologie leggere favoriscono nell’immediato la possibilità di risolvere il problema dell’accoglienza e dell’emergenza abitativa , che nella tipologia delle strutture continue a reticolo offre la possibilità di  un modello strutturale capace di resistere a notevoli carichi con il minor uso di materiale e con conseguente contenimento dei costi , rimanendo inalterati gli standard di qualità e salubrità .

Tecnologie leggere: studi 4 di 4

La leggerezza diventa uno strumento indispensabile per il rispetto della sostenibilità ambientale, che nel contesto dell’Horizon 2020 tende sensibilizzare il mondo dell’impresa e delle tecnologie avanzate a determinare un nuovo modo di “costruire”  in cui abbisogna affrontare le nuova sfida planetaria della riduzione dell’emissione gas serra in atmosfera attraverso un percorso tecnico  indirizzato alla “revisione dell’edificato”  , che significa controllare e verificare per un periodo limitato lo stato dell’edificio.

Se per tecnologia leggera si tende a sfruttare i limiti dell’emergenza ambientale , il futuro può inaugurare  la nuova stagione del progresso-sostenibile  attraverso la ricerca.

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Source: Ediltecnico.it

Sismabonus, Delrio firma. La classificazione del rischio sismico è imperfetta ma necessaria

Questo pomeriggio il Ministro Delrio ha finalmente emanato il Decreto che darà attuazione all’ormai famoso Sismabonus, previsto nella Legge di Bilancio 2017((il testo è disponibile sul sito del Ministero delle infrastrutture). Da domani si potrà accedere ufficialmente al Sismabonus e ai relativi incentivi fiscali.

L’idea iniziale venne dal manifesto “Classificare la vulnerabilità sismica dei fabbricati – Come certificare la sicurezza e la sostenibilità del patrimonio immobiliare favorendo lo sviluppo economico” che l’Associazione ISI Ingegneria Sismica Italiana pubblicò nel maggio 2013. Nell’autunno dello stesso anno l’allora Ministro Lupi istituiva un Gruppo di Studio “per la proposizione di uno o più documenti normativi per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni, finalizzata all’incentivazione fiscale di interventi per la riduzione dello stesso rischio” per il quale venne assegnata ad ISI la funzione di Segreteria Tecnica.

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Dopo quattro anni dunque, il documento ha visto la luce; definisce 8 Classi di Rischio, con rischio crescente dalla lettera A+ alla lettera G. La determinazione della classe di appartenenza di un edificio può essere condotta secondo due metodi, tra loro alternativi, l’uno convenzionale e l’altro semplificato, quest’ultimo con un ambito applicativo limitato.

Il metodo convenzionale è concettualmente applicabile a qualsiasi tipologia di costruzione; è basato sull’applicazione dei normali metodi di analisi previsti dalle attuali Norme Tecniche e consente la valutazione della Classe di Rischio della costruzione sia nello stato di fatto sia nello stato conseguente all’eventuale intervento.

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Il metodo semplificato si basa su una classificazione macrosismica dell’edificio; è indicato per una valutazione speditiva della Classe di Rischio dei soli edifici in muratura e può essere utilizzato sia per una valutazione preliminare indicativa, sia per valutare, limitatamente agli edifici in muratura, la classe di rischio in relazione all’adozione di interventi di tipo locale.

Senza addentrarci negli aspetti tecnici, che ogni professionista da oggi in poi studierà approfonditamente, riporto alcune considerazioni.

Il documento è perfetto? No. Le linee guida sono sicuramente perfettibili, a partire dal titolo. Il documento infatti classifica esclusivamente la vulnerabilità e non il rischio. [1]

Per il resto, si tratta a mio avviso di un importante cambio di passo sia per i professionisti che per la società, quindi è normale un affinamento progressivo  e un riscontro sereno e obiettivo a seguito dell’attuazione.

Il documento era necessario? Sì. Si per almeno tre ragioni.

. Perché il nostro deficit nei confronti della riduzione del rischio sismico è aumentato talmente tanto che qualsiasi procedura che possa accendere l’attenzione su questo problema è vitale, nel senso letterale del termine.

. Per un motivo tanto banale quanto sconcertante: il patrimonio edilizio è più vecchio delle normative che ne devono garantire la sicurezza.

. Perché anche il cittadino deve avere consapevolezza del proprio patrimonio, anche a discapito del portafoglio. Deve finire il tempo in cui il valore di un immobile deriva dagli intonaci e dalle piastrelle.

Ultimo aspetto, non marginale, è che la classificazione deriva comunque da valutazioni di sicurezza effettuate ai sensi delle NTC; ciò significa che sono necessari professionisti preparati e consapevoli, abituati a “maneggiare” gli edifici esistenti e a dedicare loro il giusto tempo, con equilibrio tra uso del software e occhio esperto. Tradotto, trovo difficile che si manifesterà l’effetto “GroupOn” come per la certificazione energetica.

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[1] Il RISCHIO è formato dal prodotto tra pericolosità, esposizione e vulnerabilità. La pericolosità è insita nel luogo in cui l’edificio è realizzato, la vulnerabilità dipende da come l’edificio è realizzato; l’esposizione è invece la quantificazione sociale (pubblica e privata) patrimoniale ed economica di ciò che potrebbe essere danneggiato dalla scossa.

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Source: Ediltecnico.it

Il suolo: una risorsa vitale ma limitata. Le conseguenze del degrado

Il suolo è una risorsa sostanzialmente non rinnovabile nel senso che la velocità di degradazione può essere rapida, mentre i processi di formazione e rigenerazione sono estremamente lenti. Si tratta di un sistema molto dinamico che svolge numerose funzioni e presta servizi essenziali per le attività umane e la sopravvivenza degli ecosistemi.

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La Terra è stata modellata interamente dall’azione di forze con movimenti lenti agenti in periodi di tempo lunghissimi, sintetizzabile con la frase “il passato è la chiave del presente”. Le specie si formano ognuna in un preciso momento dello spazio e del tempo, già pronte per l’ambiente in cui si trovano a vivere, anche se possono disperdersi a causa di cambiamenti climatici o per l’introduzione di nuove specie, che modifichino l’habitat. Il suolo deve essere utilizzato in maniera sostenibile, in modo da conservarne le capacità di fornire servizi di tipo ecologico, economico e sociale e di mantenerne le funzioni, affinché le generazioni future possano vedere soddisfatte le proprie esigenze.

Il suolo è uno dei beni più preziosi dell’umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e dell’uomo sulla superficie della Terra. Il suolo è un substrato vivente e dinamico che permette l’esistenza della vita vegetale e animale. E’ essenziale alla vita dell’uomo quale mezzo produttore di nutrimento e di materie prime.  E’ un elemento fondamentale della biosfera e contribuisce, assieme alla vegetazione ed al clima, a regolare il ciclo idrologico e a influenzare la qualità delle acque.

Cosa s’intende per suolo?

In genere, per “suolo” s’intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Nel suolo vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, i nutrienti e il carbonio: in effetti, con le 1.500 giga tonnellate di carbonio che immagazzina, è il principale deposito del pianeta.

Per l’importanza che rivestono sotto il profilo socioeconomico e ambientale, tutte queste funzioni devono pertanto essere tutelate. Il suolo è un mezzo estremamente complesso e variabile. In Europa ne sono stati individuati oltre 320 tipi principali, ognuno dei quali, al proprio interno, è caratterizzato da proprietà fisiche, chimiche e biologiche estremamente variabili. Le funzioni che svolge il suolo dipendono notevolmente dalla sua struttura e pertanto eventuali danni alla struttura hanno ripercussioni negative anche su altre matrici ambientali ed ecosistemi.

La questione del consumo del suolo e di un suo uso sostenibile e razionale è di vitale importanza per la realizzazione consapevole di infrastrutture e di edifici civili da parte di amministrazioni pubbliche e/o di committenti privati.

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Il suolo subisce una serie di processi di degradazione e di minacce, quali l’erosione, la diminuzione di materia organica, la contaminazione locale o diffusa, l’impermeabilizzazione, la compattazione, il calo della biodiversità, la salinizzazione, le alluvioni e gli smottamenti.  Combinati, tutti questi rischi possono alla fine determinare condizioni climatiche aride che possono portare alla desertificazione.

Il degrado del suolo è un problema serio, causato dalle attività umane, per esempio da pratiche agricole e silvicole inadeguate, attività industriali, turismo, proliferazione urbana e industriale e opere di edificazione.  Tutte queste attività esercitano un impatto negativo, perché impediscono al suolo di svolgere tutta la varietà di funzioni e di servizi che normalmente fornisce agli esseri umani e agli ecosistemi. Il risultato è una minor fertilità del suolo, una perdita di carbonio e di biodiversità, una capacità inferiore di trattenere l’acqua, lo sconvolgimento dei cicli dei gas e dei nutrienti e una minore degradazione degli agenti contaminanti.

Degrado del suolo: le conseguenze

Il degrado del suolo ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell’aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, ma può anche incidere sulla salute dei cittadini e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti destinati all’alimentazione umana e animale.  Saranno necessarie ulteriori attività di ricerca per colmare le lacune esistenti in termini di conoscenze sul suolo e per dare una base scientifica più solida alle politiche.

I processi di degradazione del suolo variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro, perché i rischi si presentano in forma e in entità diverse, ma il fenomeno riguarda tutta l’UE.  Secondo le stime, 115 milioni di ettari, pari al 12 % della superficie totale delle terre emerse europee, sono soggetti ad erosione idrica, mentre 42 milioni di ettari sono colpiti dal fenomeno dell’erosione prodotta dal vento.

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Si calcola che il 45 % dei suoli europei presenta uno scarso contenuto di materia organica. È evidente, tuttavia, che i fattori antropici alla base delle attuali minacce per il suolo incidono sempre di più. I cambiamenti climatici, sotto forma di temperature in aumento e di eventi meteorologici estremi, stanno acuendo le emissioni di gas serra prodotte dal suolo e fenomeni come l’erosione, gli smottamenti, la salinizzazione e la diminuzione di materia organica dei suoli.

Da molti dati risulta evidente che gran parte dei costi legati al degrado del suolo non è sostenuta dagli utilizzatori più diretti dei terreni, ma spesso dalla società in generale e da soggetti distanti dal punto in cui insorge il problema (esterni al sito). Il suolo si forma lentamente attraverso processi fisici, fisico-chimici e biologici, ma può essere distrutto rapidamente in seguito ad azioni sconsiderate.

La sua fertilità può essere aumentata con un trattamento appropriato che può durare anni e decenni, ma, una volta distrutto, il suolo può impiegare secoli per ricostruirsi. La società industriale usa i suoli sia a fini agricoli che a fini industriali o d’altra natura. Qualsiasi politica di pianificazione territoriale deve essere concepita in funzione delle proprietà dei suoli e dei bisogni della società di oggi e di domani.

I molteplici usi del suolo

Il suolo può essere destinato a molteplici usi, le cui scelte sono generalmente guidate da necessità economiche e sociali. Tali scelte, tuttavia, devono tenere conto delle caratteristiche dei suoli, della loro fertilità e dei servizi socio-economici che i suoli possono rendere alla società di oggi e di domani. Queste stesse caratteristiche determinano, conseguentemente, l’utilizzabilità dei suoli per fini agricoli, forestali o di altra natura. Deve essere evitata la distruzione dei suoli fatta per motivi puramente economici dettati da considerazioni di rendimento a breve termine.

Le terre marginali pongono problemi speciali e offrono possibilità particolari per la conservazione del suolo, perché, se convenientemente sistemate, esse possono avere un potenziale non trascurabile come risorse naturali, zone di rimboschimento, settori di protezione contro l’erosione e le valanghe, riserve di acqua e regolatori dei regimi idrici e come zone da sfruttare per attività ricreative. Gli agricoltori e i forestali devono applicare metodi che preservino le qualità dei suoli.

La meccanizzazione e i metodi moderni permettono di aumentare i rendimenti, ma se vengono impiegati senza discernimento possono rompere l’equilibrio naturale dei suoli, alterandone le proprietà fisiche, chimiche e biologiche. La distribuzione delle sostanze organiche del suolo a causa di pratiche agricole inadeguate e il cattivo uso di macchine pesanti sono importanti fattori che possono degradare la struttura del suolo e, di conseguenza, diminuire la produttività delle colture. La struttura dei suoli destinati alla produzione di foraggio può essere egualmente danneggiata da un carico eccessivo.

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Erosione e inquinamenti

Il suolo è esposto agli agenti atmosferici: è eroso dall’acqua, dal vento, dalla neve e dal ghiaccio.  Le attività umane, condotte senza le dovute precauzioni, accelerano il degrado della struttura del suolo e ne diminuiscono la normale resistenza agli agenti corrosivi. Nessuna occupazione di suolo deve mai essere fatta senza prestabilire gli opportuni interventi meccanici e biologici propri a fermare l’erosione accelerata.

Se utilizzati senza discernimento e senza controllo, taluni concimi chimici e pesticidi possono accumularsi nei terreni coltivati e quindi contribuire all’inquinamento del suolo, delle acque sotterranee, dei corsi d’acqua e dell’atmosfera. Essi influenzano anche le zone circostanti, a causa delle infrastrutture necessarie al funzionamento dello spazio urbano (strade, acquedotti, ecc.) e delle quantità, sempre in aumento, dei rifiuti da evacuare.

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L’urbanizzazione deve essere concentrata e organizzata in maniera tale da evitare il più possibile l’occupazione dei suoli di buona qualità e la degradazione o l’inquinamento dei suoli nelle regioni agricole e forestali, le riserve naturali e le zone ricreative. Nei progetti di ingegneria civile si deve tener conto di ogni loro ripercussione sui territori circostanti e nel costo devono essere previsti e valutati adeguati provvedimenti di protezione. Le opere di costruzione di dighe, ponti, strade, canali, fabbriche o case possono avere una influenza più o meno permanente sui territori circostanti sia vicini che più o meno lontani.

Tali opere alterano spesso il drenaggio naturale delle falde freatiche. È necessario prevedere quindi le loro ripercussioni in modo da evitare, adottando misure adeguate, gli effetti nefasti che potrebbero generare. Il costo delle misure di protezione dei territori circostanti deve essere calcolato già nella fase di progettazione e, in caso di installazioni temporanee, nel calcolo delle spese di previsione deve essere compreso il costo del ripristino alla situazione originaria.

L’inventario delle risorse del suolo

In vista di una pianificazione territoriale razionale e per permettere una autentica politica di conservazione e di miglioramento, è indispensabile che vengano definite le caratteristiche dei vari suoli, ne vengano riconosciute le attitudini e la distribuzione spaziale. Si è visto che in Europa ne sono stati individuati oltre 320 tipi principali, ognuno dei quali, al proprio interno, è caratterizzato da proprietà fisiche, chimiche e biologiche estremamente variabili.

A tale scopo, ogni paese dovrà procedere ad un inventario, il più dettagliato possibile delle risorse rappresentate dai suoli. Le carte pedologiche, necessariamente completate da carte tematiche, cioè carte geologiche, carte sull’idrogeologia reale e potenziale dei suoli, carte d’utilizzazione dei suoli, carte della potenzialità colturale, carte della vegetazione naturale e potenziale e carte idrologiche permettono di realizzare l’inventario sopracitato.

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La loro esecuzione effettuata da un servizio specializzato, deve costituire un’attività necessaria e basilare per ogni paese.  Tali carte dovrebbero essere redatte in modo da permettere i paragoni a livello internazionale. Per realizzare l’utilizzazione razionale e la conservazione dei suoli sono necessari l’incremento della ricerca scientifica e la collaborazione interdisciplinare.

Infatti da essa dipendono la messa a punto delle tecniche, di conservazione, in agricoltura e in silvicoltura, l’elaborazione delle norme di applicazione dei concimi chimici, lo sviluppo dei metodi di sostituzione dei pesticidi tossici e dei mezzi di prevenzione dell’inquinamento. La ricerca scientifica è essenziale per evitare le conseguenze dannose di qualsiasi utilizzazione sbagliata dei suoli al momento dell’insediamento su di essi delle diverse attività umane. Data la complessità dei problemi da risolvere, tale ricerca deve essere sviluppata presso centri multidisciplinari.

Un esempio della classificazione delle aree forestali nazionale (IFNC)

L’inventario forestale nazionale e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC) impiega un proprio sistema di classificazione studiato per soddisfare, per quanto possibile, le esigenze dei diversi utilizzatori e salvaguardare la possibilità di integrare fra loro dati e informazioni raccolti da diverse indagini territoriali. Le unità di territorio osservate vengono classificate dapprima in funzione dell’uso del suolo, o meglio della copertura del suolo, quindi del tipo di vegetazione presente, sia in termini di rapporto tra specie arbustive ed arboree che di composizione specifica.

La classificazione delle unità di campionamento consente di stimare l’estensione delle diverse categorie individuate: la superficie occupata da boschi, dalle boscaglie, dagli arbusteti come pure la superficie delle faggete, dei lariceti e di tutti i diversi tipi di bosco vengono infatti stimate sulla base della proporzione delle unità osservate ricadenti in ciascuna classe di copertura o categoria di vegetazione. I diversi livelli di classificazione previsti dall’INFC rendono massima la coerenza con gli standard internazionali che costituiscono il naturale riferimento di indagini territoriali a livello nazionale. In particolare ai livelli più alti dello schema di classificazione esiste una perfetta corrispondenza con il sistema CORINE Land Cover (Copernicus Land Monitoring Service), mentre i livelli più bassi, relativi alla distinzione delle diverse fitocenosi, corrispondono ad una o più classi del sistema europeo di classificazione degli ambienti naturali CORINE Biotopes

Il sistema di classificazione INFC prevede diversi livelli gerarchici:

  • punto elenco classi e sottoclassi di uso/copertura del suolo,
  • punto elenco macrocategorie e categorie inventariali (classi di uso/copertura definite sulla base della definizione di foresta),
  • punto elenco categorie e sottocategorie forestali, individuate in base alla composizione specifica dello strato arboreo, alle specie diagnostiche del sottobosco, ai caratteri della stazione e, in molti casi, alla localizzazione geografica.

La classificazione delle unità di campionamento avviene in due momenti, dapprima per fotointerpretazione durante la prima fase e successivamente con i rilievi al suolo di seconda fase.

Mediante una procedura speditiva di fotointerpretazione su ortofoto digitali in bianco e nero viene dapprima classificato l’uso del suolo, o meglio il tipo di copertura, secondo un sistema di classificazione derivato dal CORINE Land Cover Classification System e adattato alle esigenze dell’inventario forestale nazionale.  Squadra durante la localizzazione del punto inventariale.

In questa fase vengono attribuiti alla classe delle Aree boscate i punti di campionamento caratterizzati da una copertura arborea o arbustiva superiore alla soglia minima adottata oltre ai punti temporaneamente privi di copertura per cause antropiche o naturali. In seconda fase la copertura arboreo-arbustiva osservata su ortofoto viene ripartita nelle sue due componenti, alberi e arbusti, allo scopo di distinguere i boschi veri e propri dalle altre formazioni forestali (arbusteti, boscaglie, ecc.).

I punti di campionamento vengono così assegnati ad una delle sette categorie inventariali. L’identificazione a terra della specie o del gruppo specie prevalenti, che avviene sempre durante i rilievi di seconda fase, consente infine di ripartire i punti di campionamento secondo categorie di vegetazione, le categorie e sottocategorie forestali, distinte sulla base della specie o del gruppo di specie prevalenti. La classificazione in due tempi delle unità di campionamento appena descritta permette quindi di giungere ad un livello di accuratezza molto elevato e di applicare operativamente in modo coerente e robusto le definizioni adottate.

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Il suolo come una risorsa vitale

La conservazione dei suoli deve essere oggetto di insegnamento a tutti i livelli e di informazione pubblica sempre maggiore.  L’informazione del pubblico sulla necessità e sui metodi di conservazione della qualità dei suoli deve essere aumentata e adatta alle situazioni locali e nazionali. Le autorità devono fare in modo che il pubblico venga correttamente informato sulla ricerca scientifica svolta in tale settore.

La dottrina della conservazione dei suoli deve figurare nei programmi di insegnamento a tutti i livelli (primario, secondario, universitario) quale elemento dell’educazione in materia di ambiente. Le tecniche della conservazione dei suoli devono essere insegnate presso le facoltà e le scuole di ingegneria civile, agrarie e forestali e agli adulti degli ambienti rurali.  I governi e le autorità amministrative devono pianificare e gestire razionalmente le risorse rappresentate dal suolo.

Il suolo costituisce una risorsa vitale, ma limitata. Deve quindi essere oggetto di una pianificazione razionale che risponda non solamente ai bisogni attuali, ma garantisca anche per il futuro la conservazione del suolo nella biosfera, accrescendone o almeno mantenendone la capacità produttiva.

Di conseguenza, nell’ambito delle risorse rappresentate dal suolo si impone una vera politica di conservazione, realizzabile attraverso strutture amministrative competenti, necessariamente centralizzate e ben coordinate a livello regionale. Egualmente si impone una legislazione appropriata, che permetta di ripartire razionalmente le diverse attività umane nel quadro regionale e nazionale, di controllare le tecniche di utilizzazione dei suoli che potrebbero degradare o inquinare l’ambiente, di proteggere i suoli contro le aggressioni naturali o provocate dall’uomo e, dove necessario, di ricostituirli.

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Case in legno: possono marcire?

Affrontiamo in questo articolo un tema molto importante relativo alle case in legno, che sta già divenendo, negli ultimi anni, oggetto di numerose contestazioni e vertenze legali.

È una domanda ricorrente e molto importante. Infatti noto come spesso l’informazione relativa al mondo delle case in legno non sia esaustiva, fornendo ai Committenti, che si stanno interessando e documentando, dati ed opinioni spesso parziali, incomplete e soggettive.

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Partiamo da un concetto semplice e quasi banale: il legno è un materiale per molti aspetti formidabile, ma in certe condizioni, e in particolare per quanto riguarda alcune essenze, può marcire, soprattutto in presenza di particolari condizioni di umidità e temperatura.

La maggior parte delle case in legno prefabbricate in commercio sono realizzate con struttura portante in legno di Abete (sia quelle con struttura a xlam sia a telaio), che teme notevolmente le marcescenze. Molto raramente vengono utilizzate altre essenze più resistenti come ad esempio il Larice (più costoso), in particolare nella realizzazione di case con struttura a telaio, mentre la quasi totalità delle pareti in xlam in commercio sono realizzate in Abete.

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Nelle case in legno (indipendentemente dalla tipologia costruttiva) è necessario garantire la tenuta all’aria dell’involucro edilizio, in particolare delle pareti perimetrali (ma anche in copertura c’è il medesimo problema). Infatti, in inverno, con una temperatura interna di 20°C ed una umidità, ad esempio, del 40-50%, si viene creare una migrazione di vapore naturale dall’interno della casa verso l’esterno.

Questo flusso naturale di vapore deve essere limitato o impedito, in modo da evitare pericolose condense interstiziali all’interno del muro della casa in legno. Se il flusso viene impedito, è necessario prevedere assolutamente un impianto di ventilazione con ricambio automatico ad alta efficienza, in modo da smaltire all’esterno, senza necessità di aprire le finestre, tutta l’umidità che viene prodotta nell’abitazione dalla normale vita familiare.

Anche un foro di pochi mmq sulla parete perimetrale genera, in un breve lasso di tempo, una grande quantità di condensa (svariati litri di acqua) che, nel tempo, può causare gravi marcescenze alla struttura portante lignea, agli isolamenti (in particolare ai cappotti in fibra di legno) oltre che sgradevoli problematiche alle contropareti interne, formate spesso da lastre di cartongesso che, a contatto con l’acqua, aumentano di volume.

Case in legno: come evitare le marcescensce

Pertanto quando si progetta e realizza una casa in legno si devono verificare accuratamente i pacchetti perimetrali murali (ad esempio con il classico diagramma di Glaser) in modo da scongiurare, fin dalla fase progettuale, errori gravi che possono poi generare nel tempo, condense interstiziali pericolosissime. Ma ciò non basta.

La fase esecutiva di cantiere è fondamentale. Infatti, la Direzione Lavori deve verificare con cura che le pareti perimetrali siano realizzate come da progetto, in particolare che il frenovapore previsto sul pacchetto della casa in legno con struttura a telaio sia stato installato correttamente, anche in corrispondenza dei punti critici quali scatole di derivazione elettriche, punti luce, giunzioni tra pannelli prefabbricati, ecc.

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Per le case di legno con struttura a xlam invece è fondamentale che siano installate a regola d’arte le nastrature butiliche in corrispondenza dei punti di interruzione delle pareti o dove posano le travi dei solai in quanto la parete medesima svolge anche la funzione di barriera al vapore (si ricorda che il legno massello ha una permeabilità al vapore comparabile a quella del polistirolo).

Una volta completata la realizzazione della nuova abitazione in legno, per verificare che tutto sia stato realizzato a regola d’arte, è opportuno che sia fatto un blower door test per verificare la tenuta all’aria dell’involucro edilizio e per individuare eventuali imperfezioni, spifferi e difetti, molto pericolosi per le case in legno.

Anche l’attacco delle pareti a terra è un punto molto delicato: deve essere sempre presente un cordolo di rialzo in cemento armato che sporge di almeno 10 cm dalla platea (o dal solaio se è presente un piano interrato). Inoltre deve essere sempre presente una guaina di separazione tra le superfici di contatto tra i pannelli portanti in legno ed il cordolo in c.a.

Inoltre, per evitare ingressi di umidità laterali, deve essere sempre previsto un risvolto di guaina tra i marciapiedi esterni e le pareti perimetrali lignee.

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Un’ultima precisazione

Chi compra o realizza una casa in legno deve essere ben coscente del fatto che le pareti perimetrali ed il tetto non possono assolutamante essere forati, per nessun motivo per appendere ad esempio mensole, mobili, pensili, lampadari ecc. Ciò, infatti, potrebbe provocare negli anni grandi condense interstiziali occulte che, nel giro di qualche anno, potrebbero far marcire parte delle strutture portanti lignee, con gravi conseguenze statiche ed economiche.

E’ fondamentale che i Committenti si affidino a professionisti esperti del settore che li accompagnino e consiglino in tutte le innumerevoli scelte e peculiarità che la realizzazione di una casa in legno comporta.

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SCIA Antincendio e responsabilità nelle emergenze: gli impianti sportivi

Gli impianti sportivi sono disciplinati dal DPR del 1° agosto 2011 n.151 all’attività n. 65 dell’Allegato I: Locali di spettacolo e di trattenimento in genere, impianti e centri sportivi, palestre, sia a carattere pubblico che privato, con capienza superiore a 100 persone, ovvero di superficie lorda in pianta al chiuso superiore a 200 mq. Sono escluse le manifestazioni temporanee, di qualsiasi genere, che si effettuano in locali o luoghi aperti al pubblico;

ATTENZIONE!

Il DPR del 1° Agosto 2011 n.151 divide l’attività 65 in due categorie: la categoria B (fino a 200 persone) e la categoria C (oltre le 200 persone)

Tale attività inoltre è disciplinata dal decreto ministeriale del 18 marzo 1996 “Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi” coordinato con le modifiche e le integrazioni introdotte dal d.m. 6 giugno 2005; e dalla Lett. Circ. Prot. n. P1091/4139 del 5 agosto 2005 “D.m. 6 giugno 2005. Linee guida per la redazione del progetto preliminare relativo all’adeguamento degli impianti sportivi destinati alle manifestazioni calcistiche con capienza superiore a 10.000 spettatori”;

Procedura per la presentazione della SCIA Antincendio – Categoria C

  1. Redazione di un progetto conforme al M. 18/3/1996;
  2. Validazione progetto da parte del Comando Provinciale dei VV.FF. mediante compilazione dell’istanza di valutazione progetto – Mod. PIN 1;
  3. Realizzazione delle opere come da progetto validato;
  4. Presentazione della SCIA (Segnalazione Inizio Attività) Antincendio Mod. PIN 2 con relativi allegati tecnici quali:
  • Relazione tecnica ed elaborati grafici;
  • Asseverazione ai fini della sicurezza antincendio – Mod. PIN 2.1;
  • Certificazione di resistenza al fuoco di prodotti/elementi costruttivi in opera – Mod. PIN 2.2;
  • Dichiarazione inerente i prodotti – Mod. PIN 2.3;
  • Dichiarazione di corretta installazione e funzionamento dell’impianto – Mod. PIN 2.4;
  • Certificazione di rispondenza e di corretto funzionamento dell’impianto – Mod. PIN 2.5;
  • Dichiarazione di conformità degli impianti installati ai sensi del D.M. del 22 gennaio 2008 n. 37;
  • Eventuale Dichiarazione di non aggravio del rischio – PIN 2.6.

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La gestione della sicurezza antincendio

Particolare attenzione deve essere posta nella gestione della sicurezza antincendio, per gli impianti sportivi ricadenti nella categoria C.

All’art.19 del d.m. 18 marzo 1996, oltre ai criteri base di organizzazione e gestione della sicurezza antincendio contenuti nel d.m. del 10 marzo 1998, sono descritti in dettaglio le modalità di gestione della sicurezza antincendio.

Il decreto ministeriale sopra citato prevede che la gestione della sicurezza è affidata al titolare dell’impianto o complesso sportivo il quale è il responsabile del mantenimento delle condizioni di sicurezza, esso è definito anche “gestore della sicurezza”.

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Per titolare dell’impianto si intende il proprietario dell’impianto sportivo, salvo che la gestione sia affidata ad altro soggetto in base ad un titolo giuridico di concessione d’uso. Infatti grazie alla concessione d’uso ad un soggetto utilizzatore, il titolare dell’attività sportiva non avrà la responsabilità di verificare la sussistenza delle condizioni di sicurezza.

La concessione d’uso configura il presupposto della disponibilità dell’impianto sportivo consentendo il mantenimento delle condizioni di sicurezza durante l’esercizio dell’attività.

In caso di assenza della concessione d’uso il titolare dell’impianto deve assolvere gli adempimenti in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, dare attuazione agli obblighi connessi con la sicurezza degli impianti tecnici come previsto dal d.m. n.37 del 22 gennaio 2008, e prevedere la redazione ed attuazione di un piano di sicurezza dell’intero impianto.

La presenza di condizioni di pericolo degli ambienti all’interno dell’impianto che eventualmente provochino danni a terzi frequentanti, dovranno essere risarciti dal titolare dell’impianto.

Il ruolo del titolare e del concessionario d’uso

Se il titolare dell’impianto delega le proprie funzioni in materia di gestione delle emergenze, al concessionario d’uso, quest’ultimo assolve ad eventuali funzioni gestionali assumendo in tal modo la responsabilità connessa con la svolgimento dell’attività sportiva durante il periodo di concessione d’uso.

Il concessionario, pertanto, dovrà sia provvedere agli adempimenti di sicurezza ed igiene del lavoro che ad elaborare il proprio piano di sicurezza tenendo presente quello elaborato dal titolare.

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Nel caso di impianti sportivi con capienza superiore ai 10.000 posti ove si disputano incontri di calcio, il titolare dell’impianto, ovvero il concessionario, sono rispettivamente responsabili del mantenimento delle condizioni di sicurezza.

Per lo scarico di responsabilità connessa alla gestione delle emergenze, il titolare può avvalersi di una persona appositamente incaricata, che assuma su di se la responsabilità della gestione delle emergenze; Quest’ultimo deve essere presente durante l’esercizio dell’attività sportiva e nelle fasi di afflusso e di deflusso degli spettatori.

Il titolare dell’impianto o la società utilizzatrice, per la corretta gestione della sicurezza, deve curare la predisposizione di un piano finalizzato al mantenimento delle condizioni di sicurezza, al rispetto dei divieti, delle limitazioni e delle condizioni di esercizio ed a garantire la sicurezza delle persone in caso di emergenza.

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I contenuti del piano di emergenza

Il piano di emergenza deve:

  • disciplinare le attività di controllo per prevenire gli incendi mediante l’istruzione e formazione del personale addetto alla struttura, comprese le esercitazioni sull’uso dei mezzi antincendio e sulle procedure di evacuazione in caso di emergenza;
  • contenere le modalità con cui informare gli spettatori ed agli atleti sulle procedure da seguire in caso di incendio o altra emergenza, garantendo la fruibilità e funzionalità delle vie di esodo;
  • garantire la manutenzione e l’efficienza o la stabilità delle strutture fisse o mobili della zona di attività sportiva e della zona spettatori e degli impianti installati;
  • contenere l’indicazione delle modalità per fornire assistenza e collaborazione ai Vigili del Fuoco ed al personale adibito al soccorso in caso di emergenza;
  • prevedere l’istituzione di un registro dei controlli periodici in cui annotare gli interventi di manutenzione ed i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici, dell’illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico;
  • tener conto delle specifiche prescrizioni imposte dalla Commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo.

In merito all’elaborazione del piano di emergenza, particolare attenzione bisogna porre alla Nota prot. n. P15/4139 Sott. 6/II R (15) del 2 maggio 2001 la quale prevede che in caso di concessione d’uso, la società utilizzatrice deve adeguare il proprio piano di sicurezza tenendo presente quello elaborato dal titolare.

Da quanto rilevato in precedenza è chiaro che in capo alla società utilizzatrice rimane la responsabilità connessa con lo svolgimento dell’attività sportiva durante il periodo di concessione d’uso.

Impianti sportivi multifunzionali

Nel caso di complessi sportivi multifunzionali vi è l’obbligo di istituire una unità gestionale delle emergenze a cui compete il coordinamento di tutti gli adempimenti attinenti la gestione della sicurezza antincendio. Sempre più spesso, infatti, si realizzano complessi sportivi multifunzionali, cioè contenente più attività all’interno di una stressa struttura o area.

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Per tali complessi sportivi viene individuato il titolare o suo delegato come responsabile della gestione della sicurezza antincendio dell’intero complesso, il quale esercita anche attività di coordinamento dei responsabili di altre specifiche attività all’interno dello stesso complesso, a carico dei quali restano comunque le incombenze gestionali ed organizzative specifiche delle singole attività.

Specifici adempimenti gestionali possono essere delegati ai titolari di attività diverse, in tal caso dovranno essere formalizzate le dichiarazioni congiunte di delega ed accettazione, da prodursi ai competenti organi di vigilanza.

Il titolare, ai fini dell’attuazione degli adempimenti gestionali, può avvalersi di una persona appositamente incaricata, o di un suo sostituto preventivamente designato, che deve essere sempre presente durante l’esercizio del complesso, ivi comprese le fasi di afflusso e deflusso degli spettatori, con funzioni di responsabile interno della sicurezza.

Il piano di emergenza generale deve essere coordinato con quelli specifici riguardanti singole attività del piano stesso, in modo da garantire l’organicità degli adempimenti e delle procedure.

In conclusione, emerge che la responsabilità in materia di gestione delle emergenze rimane in capo al titolare dell’intero complesso sportivo, mediante il coordinamento delle attività gestionali connesse alle procedure di evacuazione e gestione delle emergenze, salvo il caso in cui il titolare deleghi, con pieni poteri decisionali, ad un soggetto terzo denominato “gestore delle emergenze” i relativi adempimenti in materia.

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