Le Tecnologie leggere in edilizia per l’ambiente

La tecnologia rappresenta da sempre la possibilità di determinare per la società – rispetto ai bisogni – , l’innovazione , la risposta ai problemi che il quotidiano e lo straordinario richiedono.

In questo filone ideologico la tecnica si muove promuovendo attraverso la ricerca scientifica nuove soluzioni, che spesso non prescindono dalla storia del costruito  e dalle sue implicazioni didattiche formative.

La scoperta delle caratteristiche fisiche-meccaniche dei materiali grazie agli studi condotti da Hooke ha contribuito nella storia del costruire a sviluppare una nuova consapevolezza progettuale capace di evolversi morfologicamente e di svincolarsi da forme precostituite.

Tecnologie leggere: studi 1 di 4

Pensare alla forma dell’arco e rivisitare il suo principio costitutivo, che partendo dalla catenaria – forma ottenuta dalla distribuzione di un sistema di vettori carichi paralleli nel piano, che determina la possibilità di trasferire i carichi sfruttando la caratteristica di resistenza di compressione del materiale- ; ha contribuito insieme allo sviluppo del principio di membrana – capacità degli elementi sottili orizzontali di resistere ai soli sforzi di  trazione rispetto alla distribuzione di carichi verticali –; di allargare gli orizzonti progettuali verso la creazione di strutture leggere, la cui funzione oggi come allora rispondeva al soddisfacimento di alcune esigenze della contemporaneità.

Se per leggerezza intendiamo un modo semplice di applicare le conquiste ottenute dalla tecnologia, allora si può pensare ad un ambiente costruito in cui a regola d’arte ove la sostenibilità viene garantita dalla semplicità delle soluzioni .

Tecnologie leggere: studi 2 di 4

La tensostruttura rappresenta  un percorso evolutivo della forma dell’arco in cui si incarna la sinergia tra leggerezza e resistenza e  la flessibilità e versatilità spaziale-funzionale , che si traduce nella possibilità nei confini del dibattito attuale sulla tutela ambientale , di proporre come strategia la minimizzazione dell’uso del suolo verde e al contempo di creare nuovi scenari tematici nel quadro delle strategie di politiche territoriali volte all’integrazione socio-urbanistica.

Tecnologie leggere: studi 3 di 4

Il tema della rigenerazione urbana , connessa alla resilienza territoriale offrono lo spunto per ricercare nuove strategie atte al recupero funzionale e socio-economico di contesti caratterizzati  da molteplici vincoli -sia di ordine paesaggistico che ambientale -, in cui l’approccio programmatico ha come esigenza di perseguire un modus operandi leggero e sopratutto di semplice realizzazione. Nel quadro dell’emergenza sismica territoriale , del rischio idrogeologico e quelli connessi alla vulcanologia , l’utilizzo delle tecnologie leggere favoriscono nell’immediato la possibilità di risolvere il problema dell’accoglienza e dell’emergenza abitativa , che nella tipologia delle strutture continue a reticolo offre la possibilità di  un modello strutturale capace di resistere a notevoli carichi con il minor uso di materiale e con conseguente contenimento dei costi , rimanendo inalterati gli standard di qualità e salubrità .

Tecnologie leggere: studi 4 di 4

La leggerezza diventa uno strumento indispensabile per il rispetto della sostenibilità ambientale, che nel contesto dell’Horizon 2020 tende sensibilizzare il mondo dell’impresa e delle tecnologie avanzate a determinare un nuovo modo di “costruire”  in cui abbisogna affrontare le nuova sfida planetaria della riduzione dell’emissione gas serra in atmosfera attraverso un percorso tecnico  indirizzato alla “revisione dell’edificato”  , che significa controllare e verificare per un periodo limitato lo stato dell’edificio.

Se per tecnologia leggera si tende a sfruttare i limiti dell’emergenza ambientale , il futuro può inaugurare  la nuova stagione del progresso-sostenibile  attraverso la ricerca.

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Source: Ediltecnico.it

Sismabonus, Delrio firma. La classificazione del rischio sismico è imperfetta ma necessaria

Questo pomeriggio il Ministro Delrio ha finalmente emanato il Decreto che darà attuazione all’ormai famoso Sismabonus, previsto nella Legge di Bilancio 2017((il testo è disponibile sul sito del Ministero delle infrastrutture). Da domani si potrà accedere ufficialmente al Sismabonus e ai relativi incentivi fiscali.

L’idea iniziale venne dal manifesto “Classificare la vulnerabilità sismica dei fabbricati – Come certificare la sicurezza e la sostenibilità del patrimonio immobiliare favorendo lo sviluppo economico” che l’Associazione ISI Ingegneria Sismica Italiana pubblicò nel maggio 2013. Nell’autunno dello stesso anno l’allora Ministro Lupi istituiva un Gruppo di Studio “per la proposizione di uno o più documenti normativi per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni, finalizzata all’incentivazione fiscale di interventi per la riduzione dello stesso rischio” per il quale venne assegnata ad ISI la funzione di Segreteria Tecnica.

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Dopo quattro anni dunque, il documento ha visto la luce; definisce 8 Classi di Rischio, con rischio crescente dalla lettera A+ alla lettera G. La determinazione della classe di appartenenza di un edificio può essere condotta secondo due metodi, tra loro alternativi, l’uno convenzionale e l’altro semplificato, quest’ultimo con un ambito applicativo limitato.

Il metodo convenzionale è concettualmente applicabile a qualsiasi tipologia di costruzione; è basato sull’applicazione dei normali metodi di analisi previsti dalle attuali Norme Tecniche e consente la valutazione della Classe di Rischio della costruzione sia nello stato di fatto sia nello stato conseguente all’eventuale intervento.

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Il metodo semplificato si basa su una classificazione macrosismica dell’edificio; è indicato per una valutazione speditiva della Classe di Rischio dei soli edifici in muratura e può essere utilizzato sia per una valutazione preliminare indicativa, sia per valutare, limitatamente agli edifici in muratura, la classe di rischio in relazione all’adozione di interventi di tipo locale.

Senza addentrarci negli aspetti tecnici, che ogni professionista da oggi in poi studierà approfonditamente, riporto alcune considerazioni.

Il documento è perfetto? No. Le linee guida sono sicuramente perfettibili, a partire dal titolo. Il documento infatti classifica esclusivamente la vulnerabilità e non il rischio. [1]

Per il resto, si tratta a mio avviso di un importante cambio di passo sia per i professionisti che per la società, quindi è normale un affinamento progressivo  e un riscontro sereno e obiettivo a seguito dell’attuazione.

Il documento era necessario? Sì. Si per almeno tre ragioni.

. Perché il nostro deficit nei confronti della riduzione del rischio sismico è aumentato talmente tanto che qualsiasi procedura che possa accendere l’attenzione su questo problema è vitale, nel senso letterale del termine.

. Per un motivo tanto banale quanto sconcertante: il patrimonio edilizio è più vecchio delle normative che ne devono garantire la sicurezza.

. Perché anche il cittadino deve avere consapevolezza del proprio patrimonio, anche a discapito del portafoglio. Deve finire il tempo in cui il valore di un immobile deriva dagli intonaci e dalle piastrelle.

Ultimo aspetto, non marginale, è che la classificazione deriva comunque da valutazioni di sicurezza effettuate ai sensi delle NTC; ciò significa che sono necessari professionisti preparati e consapevoli, abituati a “maneggiare” gli edifici esistenti e a dedicare loro il giusto tempo, con equilibrio tra uso del software e occhio esperto. Tradotto, trovo difficile che si manifesterà l’effetto “GroupOn” come per la certificazione energetica.

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[1] Il RISCHIO è formato dal prodotto tra pericolosità, esposizione e vulnerabilità. La pericolosità è insita nel luogo in cui l’edificio è realizzato, la vulnerabilità dipende da come l’edificio è realizzato; l’esposizione è invece la quantificazione sociale (pubblica e privata) patrimoniale ed economica di ciò che potrebbe essere danneggiato dalla scossa.

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Source: Ediltecnico.it

Case in legno: possono marcire?

Affrontiamo in questo articolo un tema molto importante relativo alle case in legno, che sta già divenendo, negli ultimi anni, oggetto di numerose contestazioni e vertenze legali.

È una domanda ricorrente e molto importante. Infatti noto come spesso l’informazione relativa al mondo delle case in legno non sia esaustiva, fornendo ai Committenti, che si stanno interessando e documentando, dati ed opinioni spesso parziali, incomplete e soggettive.

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Partiamo da un concetto semplice e quasi banale: il legno è un materiale per molti aspetti formidabile, ma in certe condizioni, e in particolare per quanto riguarda alcune essenze, può marcire, soprattutto in presenza di particolari condizioni di umidità e temperatura.

La maggior parte delle case in legno prefabbricate in commercio sono realizzate con struttura portante in legno di Abete (sia quelle con struttura a xlam sia a telaio), che teme notevolmente le marcescenze. Molto raramente vengono utilizzate altre essenze più resistenti come ad esempio il Larice (più costoso), in particolare nella realizzazione di case con struttura a telaio, mentre la quasi totalità delle pareti in xlam in commercio sono realizzate in Abete.

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Nelle case in legno (indipendentemente dalla tipologia costruttiva) è necessario garantire la tenuta all’aria dell’involucro edilizio, in particolare delle pareti perimetrali (ma anche in copertura c’è il medesimo problema). Infatti, in inverno, con una temperatura interna di 20°C ed una umidità, ad esempio, del 40-50%, si viene creare una migrazione di vapore naturale dall’interno della casa verso l’esterno.

Questo flusso naturale di vapore deve essere limitato o impedito, in modo da evitare pericolose condense interstiziali all’interno del muro della casa in legno. Se il flusso viene impedito, è necessario prevedere assolutamente un impianto di ventilazione con ricambio automatico ad alta efficienza, in modo da smaltire all’esterno, senza necessità di aprire le finestre, tutta l’umidità che viene prodotta nell’abitazione dalla normale vita familiare.

Anche un foro di pochi mmq sulla parete perimetrale genera, in un breve lasso di tempo, una grande quantità di condensa (svariati litri di acqua) che, nel tempo, può causare gravi marcescenze alla struttura portante lignea, agli isolamenti (in particolare ai cappotti in fibra di legno) oltre che sgradevoli problematiche alle contropareti interne, formate spesso da lastre di cartongesso che, a contatto con l’acqua, aumentano di volume.

Case in legno: come evitare le marcescensce

Pertanto quando si progetta e realizza una casa in legno si devono verificare accuratamente i pacchetti perimetrali murali (ad esempio con il classico diagramma di Glaser) in modo da scongiurare, fin dalla fase progettuale, errori gravi che possono poi generare nel tempo, condense interstiziali pericolosissime. Ma ciò non basta.

La fase esecutiva di cantiere è fondamentale. Infatti, la Direzione Lavori deve verificare con cura che le pareti perimetrali siano realizzate come da progetto, in particolare che il frenovapore previsto sul pacchetto della casa in legno con struttura a telaio sia stato installato correttamente, anche in corrispondenza dei punti critici quali scatole di derivazione elettriche, punti luce, giunzioni tra pannelli prefabbricati, ecc.

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Per le case di legno con struttura a xlam invece è fondamentale che siano installate a regola d’arte le nastrature butiliche in corrispondenza dei punti di interruzione delle pareti o dove posano le travi dei solai in quanto la parete medesima svolge anche la funzione di barriera al vapore (si ricorda che il legno massello ha una permeabilità al vapore comparabile a quella del polistirolo).

Una volta completata la realizzazione della nuova abitazione in legno, per verificare che tutto sia stato realizzato a regola d’arte, è opportuno che sia fatto un blower door test per verificare la tenuta all’aria dell’involucro edilizio e per individuare eventuali imperfezioni, spifferi e difetti, molto pericolosi per le case in legno.

Anche l’attacco delle pareti a terra è un punto molto delicato: deve essere sempre presente un cordolo di rialzo in cemento armato che sporge di almeno 10 cm dalla platea (o dal solaio se è presente un piano interrato). Inoltre deve essere sempre presente una guaina di separazione tra le superfici di contatto tra i pannelli portanti in legno ed il cordolo in c.a.

Inoltre, per evitare ingressi di umidità laterali, deve essere sempre previsto un risvolto di guaina tra i marciapiedi esterni e le pareti perimetrali lignee.

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Un’ultima precisazione

Chi compra o realizza una casa in legno deve essere ben coscente del fatto che le pareti perimetrali ed il tetto non possono assolutamante essere forati, per nessun motivo per appendere ad esempio mensole, mobili, pensili, lampadari ecc. Ciò, infatti, potrebbe provocare negli anni grandi condense interstiziali occulte che, nel giro di qualche anno, potrebbero far marcire parte delle strutture portanti lignee, con gravi conseguenze statiche ed economiche.

E’ fondamentale che i Committenti si affidino a professionisti esperti del settore che li accompagnino e consiglino in tutte le innumerevoli scelte e peculiarità che la realizzazione di una casa in legno comporta.

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Source: Ediltecnico.it

BIM obbligatorio dal 2019: le fasi di attuazione del decreto

Il BIM sarà obbligatorio dal 2019, ma solo per le opere del valore superiore i 100 milioni. Poi partirà una serie di scadenze progressive, e il sistema entrerà a pieno regime nel 2022, quando cioè il BIM diventerà obbligatorio per tutte le opere, a meno che nel frattempo non intervengano altre modifiche. Solo una precisazione occorre fare: i lavori semplici potranno essere effettuati con i metodi tradizionali. Per esempio, i palazzi residenziali senza particolari problematiche di sicurezza.

Le scelte, in effetti, per ora sono “provvisorie” ma emergono comunque questi dettagli, che non possono non essere valutati per lo meno come “interessanti”.

Il testo del “decreto BIM”

Il comma 13 dell’articolo 23 del Nuovo Codice Appalti stabilisce che un decreto del Ministero delle Infrastrutture dovrà fissare le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell’obbligatorietà del BIM sia per le amministrazioni sia le imprese. Il percorso è da tracciare “in relazione alla tipologia delle opere da affidare” e alla strategia “di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del settore delle costruzioni”.

La Commissione Baratono

Per scrivere il testo del decreto, il ministro Delrio ha messo in piedi una commissione di esperti, guidata da Pietro Baratono, pioniere dell’utilizzo di questo sistema nella pubblica amministrazione italiana e provveditore alle Opere pubbliche di Lombardia e Emilia Romagna.

La commissione ha preso quindi il nome di Commissione Baratono è quella che ha il compito di scrivere il testo del calendario per l’utilizzo del Bim in Italia. Per la fine di febbraio il testo dovrebbe essere materialmente chiuso.

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Il livello di formazione di tutti è ancora scarso. Non solo stazioni appaltanti ma anche imprese e professionisti non sono preparatissimi (anche se i professionisti già preparati ci sono, non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio). Ecco perché non si può pensare di rendere obbligatorio da subito il BIM ed ecco perché, dovendo per forza di cose stabilire una regola generale, è utile un calendario impostato in tre momenti ben individuati.

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BIM: le fasi dell’introduzione dell’obbligo

Momento uno: 2019

Tra due anni, i tempi saranno maturi per l’obbligo per le grandissime opere, cioè sopra la soglia di 100 milioni. Non saranno molte, perché secondo secondo i dati del Cresme, nel 2016 sopra questo livello ci sono stati solo 26 bandi.

Momento due: 2019-2021

Gli obblighi si allargheranno ad altri soggetti, seguendo molto un criterio legato di complessità delle opere e non di valore: l’obbligo di usare il BIM ci sarà solo per le costruzioni strategiche, con particolari standard di sicurezza, perché utilizzate da molte persone.

Momento tre: 2022

Dal 2022 il sistema entrerà a pieno regime: per tutte le opere, tranne quelle che non richiedono particolari problematiche di sicurezza, come il residenziale, sarà obbligatorio l’utilizzo del BIM.

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Una domanda

Un dubbio: a siamo sicuri che per il residenziale non serva progettare prestando molta attenzione alla sicurezza? Di sicuro sono opere meno complesse rispetto ad altre, ma è trascurando il fattore sicurezza che sono state progettate le case crollate con il terremoto ad Amatrice, in Emilia Romagna o a L’Aquila.

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Source: Ediltecnico.it

Ordinanza di demolizione, quando è illegittima?

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze sull’edilizia e l’urbanistica, pubblicate nella corso della scorsa settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono:

  • ordinanza di demolizione in pendenza del termine per controdedurre a seguito di preavviso di rigetto;
  • ripubblicazione di un piano urbanistico;
  • lottizzazione abusiva tramite il cambio di destinazione d’uso;
  • destinazione urbanistica di un’area e relativa motivazione;
  • parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli.

Ordinanza di demolizione

Argomento: Ordinanza di demolizione in pendenza del termine per controdedurre al preavviso di rigetto
Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. Latina, sent. 11 gennaio 2017 n. 11
Massima: È illegittima l’ordinanza di demolizione mentre ancora pende il termine per presentare le controdeduzioni da parte dell’interessato a seguito del preavviso di rigetto

 

L’articolo 38 D.P.R. n. 380 – che disciplina le conseguenze dell’annullamento di un titolo edilizio – prevede, con una disposizione che tiene nel debito conto anche l’interesse di chi abbia realizzato opere facendo in buona fede affidamento sulla loro legittimità, che l’amministrazione in primo luogo verifichi la possibilità di emendare i vizi del titolo.

Solo in caso di acclarata impossibilità le opere (divenute) illegittime vanno rimosse salvo, ove risulti impossibile la rimessione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria (il cui pagamento produce gli effetti di un “accertamento di conformità”).

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Di conseguenza, mentre ancora pende il termine per controdedurre da parte dell’interessato al preavviso di rigetto, è illegittima l’ordinanza di demolizione adottata nel frattempo dal Comune.

In tale contesto, infatti, tale comportamento contraddittorio ed incongruo implicitamente riduce il preavviso di rigetto a un inutile adempimento formale ovvero trasformandolo – il che è peggio – nella reale determinazione definitiva, cioè in una manifestazione di volontà ormai irrevocabile dell’amministrazione rispetto alla quale si esclude a priori che l’apporto del privato possa risultare utile a concorrere alla formazione del provvedimento finale (con conseguente mortificazione dei principi affermati in materia di procedimento dalla legge 7 agosto 1990, n. 241).

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Ripubblicazione di un piano urbanistico

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 9 gennaio 2017 n. 29
Massima: L’obbligo di ripubblicazione è prospettabile solo vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono

 

Un obbligo di ripubblicazione è prospettabile solo quando le modifiche introdotte superino il limite di rispetto dei canoni guida del Piano adottato (TAR Campania Napoli, sez. I, 11 marzo 2015, n. 1510).

In altre parole, solo nell’ipotesi in cui vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7 marzo 2013,  n. 1287) è necessario rinnovare la procedura con la ripubblicazione, mentre tale obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 dicembre 2013,  n. 5769).

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Lottizzazione abusiva nel cambio destinazione d’uso

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 11 gennaio 2017 n. 43
Massima: Il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona

 

È configurabile lottizzazione cartolare, o negoziale, quando, pur in mancanza di opere, ricorrano i casi del frazionamento e della vendita in lotti di un’area, quando essi per dimensioni, per natura del terreno e per numero evidenziano la loro destinazione a scopo edificatorio (T.A.R. Brescia, Lombardia, sez. I, 04 giugno 2015, n. 802).

Il Consiglio di Stato (sez. 5^, 3.1.1998, n. 24) ha rimarcato, al riguardo, che “la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede”.

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Quindi, il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona.

Motivi? Vuoi perché la nuova destinazione non rientra tra quelle contemplate dallo strumento urbanistico vigente per la zona in questione, vuoi perché, pur rientrando tra quelle astrattamente ammissibili, il cambio di destinazione d’uso sia avvenuto in dispregio dei parametri di zona, intesi ad assicurare l’assorbimento del nuovo carico urbanistico da esso indotto mediante la previsione di adeguati standard ed interventi di urbanizzazione.

Conseguenze? Produce effetti squilibranti sull’assetto urbanistico esistente, in termini di alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standard urbanistici, tale da imporre l’intervento riparatore a posteriori della Pubblica Amministrazione, con i conseguenti oneri a carico della finanza pubblica.

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Destinazione urbanistica di un’area

Argomento: Destinazione urbanistica di un’area e relativa motivazione
Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 10 gennaio 2017 n. 42
Massima: La destinazione nella pianificazione urbanistica data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico – discrezionale

 

Le scelte effettuate dalla Pubblica amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico – discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (da ultimo, T.A.R. Torino, sez. I  15 aprile 2016 n. 487; Consiglio di Stato sez. IV  12 maggio 2016 n. 1907).

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In particolare, poi, è stato affermato che in sede di previsione di zona contenuta nel piano medesimo, la valutazione della idoneità di un immobile a soddisfare determinati interessi pubblici piuttosto che altri, costituisce esercizio di un potere discrezionale e pertanto non può essere sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa agli immobili adiacenti (T.A.R. Trento, 06 novembre 2001 n. 628; in senso analogo, Consiglio di Stato sez. IV  23 febbraio 1979 n. 111).

Parcheggi sotterranei

Argomento: Parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli
Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 9 gennaio 2017 n. 5
Massima: La costruzione di parcheggi nel sottosuolo secondo la c.d. Legge Tognoli vale solo per immobili già esistenti e non per edifici nuovi

 

In base alla prevalente giurisprudenza, l’art. 9, l. 24 marzo 1989 n. 122 (c.d. Legge Tognoli), nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno con autorizzazione gratuita e in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti e non anche le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali invece provvede l’art. 2, comma 2, della legge stessa che, nel novellare l’art. 41 sexies, legge fondamentale 17 agosto 1942 n. 1150, stabilisce l’obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq per ogni 10 mc di costruzione (Consiglio di Stato sez. VI 09 febbraio 2015 n. 637).

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Source: Ediltecnico.it

SCIA e SCIA 2: Guida all’applicazione per gli addetti ai lavori e i cittadini

È online sul sito Italia semplice la Guida del Dipartimento della Funzione Pubblica alle nuove norme in materia di SCIA e di individuazione dei regimi da applicare, introdotte dai decreti attuativi della Legge Madia – D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126 e D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222. Sulla conferenza di servizi, sulla SCIA e sull’individuazione dei regimi è operativo anche un help-desk, per offrire supporto, informazioni e per raccogliere segnalazioni.

Potrebbe interessarti il libro sulle procedure edilizie da adottare in seguito ai decreti 126 e 222/2016:

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Le nuove procedure edilizie dopo i decreti SCIA 1 e SCIA 2

Mario DI Nicola, 2017, Maggioli Editore

Il Manuale illustra le modifiche introdotte dai Decreti n. 222, n. 126 e n. 127 del 2016 (SCIA 1 e SCIA 2) alle procedure edilizie.

Il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 modifica radicalmente l’attività edilizia…

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Le guide del Dipartimento

SCARICA LA GUIDA DEL DIPARTIMENTO PER I CITTADINI

SCARICA LA GUIDA DEL DIPARTIMENTO PER GLI ADDETTI AI LAVORI

La Guida è realizzata in una versione doppia: “per i cittadini” e “per gli addetti ai lavori” èd è stata predisposta per sostenere l’attuazione della Riforma della Pubblica amministrazione, nell’ambito delle attività previste dall’Agenda per la semplificazione.

Oltre alla Guida e all’help-desk, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha pubblicato anche alcune FAQ.

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Il contenuti dei due decreti 126 e 222/2016

Il decreto legislativo n. 126/2016 detta la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA); definisce inoltre, le modalità di presentazione di segnalazioni o istanze alla pubblica amministrazione. Leggi anche Riforma Madia: Decreto SCIA, le novità articolo per articolo

Il decreto legislativo n. 222/2016 (decreto SCIA 2) individua in un’apposita tabella le attività oggetto di comunicazione, di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), di silenzio assenso nonché quelle per cui è necessario un provvedimento espresso. Detta, inoltre, specifiche disposizioni normative di coordinamento. Leggi Decreto SCIA 2, cosa cambia nella disciplina edilizia

I due decreti insieme completano il disegno di riforma iniziato con la revisione della disciplina della conferenza di servizi (decreto legislativo 127/2016). Leggi Conferenza di Servizi, analisi della nuova disciplina già in vigore

Anche l’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) ha raccolto in un Dossier “SCIA 1 e SCIA 2 le semplificazioni in edilizia” tutte le novità previste dal Dlgs 126/2016 e dal Dlgs 222/2016 rilevanti per il settore edilizio. Scarica il Dossier Ance Scia 1 e Scia 2.

Le Novità dopo SCIA e SCIA 2: il libro

Come dicevamo sopra, abbiamo realizzato un libro sulle nuove procedure edilizie da adottare con SCIA e SCIA 2. Il libro contiene le schede degli interventi edilizi e i relativi interventi edilizi necessari. Per ogni titolo edilizio viene indicato cosa è cambiato e come, con riepiloghi schematici e chiari, sintetizzati in tabelle.

Esempio: una scheda operativa

Per esempio, quando serve il Permesso di costruire? Ecco un esempio delle schede che il libro utilizza per spiegarlo:

Scheda: quando serve il Permesso di costruire?

Il libro (aggiornato con i D.Lgs. 126, 127 e 222/2016) contiene tutte le novità delle procedure edilizie fino ai decreti Scia 1 e Scia 2:
– Attività edilizia libera
– Comunicazione inizio lavori asseverata
– Segnalazione certificata inizio attività
– Scia alternativa al permesso di costruire
– Permesso di costruire
– Segnalazione certificata di agibilità
– Tavole di ricognizione degli interventi edilizi

Le nuove procedure edilizie dopo i decreti SCIA 1 e SCIA 2


Le nuove procedure edilizie dopo i decreti SCIA 1 e SCIA 2

Mario DI Nicola, 2017, Maggioli Editore

Il Manuale illustra le modifiche introdotte dai Decreti n. 222, n. 126 e n. 127 del 2016 (SCIA 1 e SCIA 2) alle procedure edilizie.

Il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 modifica radicalmente l’attività edilizia…

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SCIA Antincendio e responsabilità nelle emergenze: gli impianti sportivi

Gli impianti sportivi sono disciplinati dal DPR del 1° agosto 2011 n.151 all’attività n. 65 dell’Allegato I: Locali di spettacolo e di trattenimento in genere, impianti e centri sportivi, palestre, sia a carattere pubblico che privato, con capienza superiore a 100 persone, ovvero di superficie lorda in pianta al chiuso superiore a 200 mq. Sono escluse le manifestazioni temporanee, di qualsiasi genere, che si effettuano in locali o luoghi aperti al pubblico;

ATTENZIONE!

Il DPR del 1° Agosto 2011 n.151 divide l’attività 65 in due categorie: la categoria B (fino a 200 persone) e la categoria C (oltre le 200 persone)

Tale attività inoltre è disciplinata dal decreto ministeriale del 18 marzo 1996 “Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi” coordinato con le modifiche e le integrazioni introdotte dal d.m. 6 giugno 2005; e dalla Lett. Circ. Prot. n. P1091/4139 del 5 agosto 2005 “D.m. 6 giugno 2005. Linee guida per la redazione del progetto preliminare relativo all’adeguamento degli impianti sportivi destinati alle manifestazioni calcistiche con capienza superiore a 10.000 spettatori”;

Procedura per la presentazione della SCIA Antincendio – Categoria C

  1. Redazione di un progetto conforme al M. 18/3/1996;
  2. Validazione progetto da parte del Comando Provinciale dei VV.FF. mediante compilazione dell’istanza di valutazione progetto – Mod. PIN 1;
  3. Realizzazione delle opere come da progetto validato;
  4. Presentazione della SCIA (Segnalazione Inizio Attività) Antincendio Mod. PIN 2 con relativi allegati tecnici quali:
  • Relazione tecnica ed elaborati grafici;
  • Asseverazione ai fini della sicurezza antincendio – Mod. PIN 2.1;
  • Certificazione di resistenza al fuoco di prodotti/elementi costruttivi in opera – Mod. PIN 2.2;
  • Dichiarazione inerente i prodotti – Mod. PIN 2.3;
  • Dichiarazione di corretta installazione e funzionamento dell’impianto – Mod. PIN 2.4;
  • Certificazione di rispondenza e di corretto funzionamento dell’impianto – Mod. PIN 2.5;
  • Dichiarazione di conformità degli impianti installati ai sensi del D.M. del 22 gennaio 2008 n. 37;
  • Eventuale Dichiarazione di non aggravio del rischio – PIN 2.6.

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La gestione della sicurezza antincendio

Particolare attenzione deve essere posta nella gestione della sicurezza antincendio, per gli impianti sportivi ricadenti nella categoria C.

All’art.19 del d.m. 18 marzo 1996, oltre ai criteri base di organizzazione e gestione della sicurezza antincendio contenuti nel d.m. del 10 marzo 1998, sono descritti in dettaglio le modalità di gestione della sicurezza antincendio.

Il decreto ministeriale sopra citato prevede che la gestione della sicurezza è affidata al titolare dell’impianto o complesso sportivo il quale è il responsabile del mantenimento delle condizioni di sicurezza, esso è definito anche “gestore della sicurezza”.

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Per titolare dell’impianto si intende il proprietario dell’impianto sportivo, salvo che la gestione sia affidata ad altro soggetto in base ad un titolo giuridico di concessione d’uso. Infatti grazie alla concessione d’uso ad un soggetto utilizzatore, il titolare dell’attività sportiva non avrà la responsabilità di verificare la sussistenza delle condizioni di sicurezza.

La concessione d’uso configura il presupposto della disponibilità dell’impianto sportivo consentendo il mantenimento delle condizioni di sicurezza durante l’esercizio dell’attività.

In caso di assenza della concessione d’uso il titolare dell’impianto deve assolvere gli adempimenti in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, dare attuazione agli obblighi connessi con la sicurezza degli impianti tecnici come previsto dal d.m. n.37 del 22 gennaio 2008, e prevedere la redazione ed attuazione di un piano di sicurezza dell’intero impianto.

La presenza di condizioni di pericolo degli ambienti all’interno dell’impianto che eventualmente provochino danni a terzi frequentanti, dovranno essere risarciti dal titolare dell’impianto.

Il ruolo del titolare e del concessionario d’uso

Se il titolare dell’impianto delega le proprie funzioni in materia di gestione delle emergenze, al concessionario d’uso, quest’ultimo assolve ad eventuali funzioni gestionali assumendo in tal modo la responsabilità connessa con la svolgimento dell’attività sportiva durante il periodo di concessione d’uso.

Il concessionario, pertanto, dovrà sia provvedere agli adempimenti di sicurezza ed igiene del lavoro che ad elaborare il proprio piano di sicurezza tenendo presente quello elaborato dal titolare.

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Nel caso di impianti sportivi con capienza superiore ai 10.000 posti ove si disputano incontri di calcio, il titolare dell’impianto, ovvero il concessionario, sono rispettivamente responsabili del mantenimento delle condizioni di sicurezza.

Per lo scarico di responsabilità connessa alla gestione delle emergenze, il titolare può avvalersi di una persona appositamente incaricata, che assuma su di se la responsabilità della gestione delle emergenze; Quest’ultimo deve essere presente durante l’esercizio dell’attività sportiva e nelle fasi di afflusso e di deflusso degli spettatori.

Il titolare dell’impianto o la società utilizzatrice, per la corretta gestione della sicurezza, deve curare la predisposizione di un piano finalizzato al mantenimento delle condizioni di sicurezza, al rispetto dei divieti, delle limitazioni e delle condizioni di esercizio ed a garantire la sicurezza delle persone in caso di emergenza.

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I contenuti del piano di emergenza

Il piano di emergenza deve:

  • disciplinare le attività di controllo per prevenire gli incendi mediante l’istruzione e formazione del personale addetto alla struttura, comprese le esercitazioni sull’uso dei mezzi antincendio e sulle procedure di evacuazione in caso di emergenza;
  • contenere le modalità con cui informare gli spettatori ed agli atleti sulle procedure da seguire in caso di incendio o altra emergenza, garantendo la fruibilità e funzionalità delle vie di esodo;
  • garantire la manutenzione e l’efficienza o la stabilità delle strutture fisse o mobili della zona di attività sportiva e della zona spettatori e degli impianti installati;
  • contenere l’indicazione delle modalità per fornire assistenza e collaborazione ai Vigili del Fuoco ed al personale adibito al soccorso in caso di emergenza;
  • prevedere l’istituzione di un registro dei controlli periodici in cui annotare gli interventi di manutenzione ed i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici, dell’illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico;
  • tener conto delle specifiche prescrizioni imposte dalla Commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo.

In merito all’elaborazione del piano di emergenza, particolare attenzione bisogna porre alla Nota prot. n. P15/4139 Sott. 6/II R (15) del 2 maggio 2001 la quale prevede che in caso di concessione d’uso, la società utilizzatrice deve adeguare il proprio piano di sicurezza tenendo presente quello elaborato dal titolare.

Da quanto rilevato in precedenza è chiaro che in capo alla società utilizzatrice rimane la responsabilità connessa con lo svolgimento dell’attività sportiva durante il periodo di concessione d’uso.

Impianti sportivi multifunzionali

Nel caso di complessi sportivi multifunzionali vi è l’obbligo di istituire una unità gestionale delle emergenze a cui compete il coordinamento di tutti gli adempimenti attinenti la gestione della sicurezza antincendio. Sempre più spesso, infatti, si realizzano complessi sportivi multifunzionali, cioè contenente più attività all’interno di una stressa struttura o area.

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Per tali complessi sportivi viene individuato il titolare o suo delegato come responsabile della gestione della sicurezza antincendio dell’intero complesso, il quale esercita anche attività di coordinamento dei responsabili di altre specifiche attività all’interno dello stesso complesso, a carico dei quali restano comunque le incombenze gestionali ed organizzative specifiche delle singole attività.

Specifici adempimenti gestionali possono essere delegati ai titolari di attività diverse, in tal caso dovranno essere formalizzate le dichiarazioni congiunte di delega ed accettazione, da prodursi ai competenti organi di vigilanza.

Il titolare, ai fini dell’attuazione degli adempimenti gestionali, può avvalersi di una persona appositamente incaricata, o di un suo sostituto preventivamente designato, che deve essere sempre presente durante l’esercizio del complesso, ivi comprese le fasi di afflusso e deflusso degli spettatori, con funzioni di responsabile interno della sicurezza.

Il piano di emergenza generale deve essere coordinato con quelli specifici riguardanti singole attività del piano stesso, in modo da garantire l’organicità degli adempimenti e delle procedure.

In conclusione, emerge che la responsabilità in materia di gestione delle emergenze rimane in capo al titolare dell’intero complesso sportivo, mediante il coordinamento delle attività gestionali connesse alle procedure di evacuazione e gestione delle emergenze, salvo il caso in cui il titolare deleghi, con pieni poteri decisionali, ad un soggetto terzo denominato “gestore delle emergenze” i relativi adempimenti in materia.

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