Cornicione del lastrico solare in condominio, di chi è la responsabilità in caso di danni?

In condominio, il cornicione del lastrico solare, alla stregua del parapetto, viene considerato quale prolungamento dei muri perimetrali dell’edificio, prolungamento che, pur garantendo protezione al lastrico solare di uso esclusivo, vale a completare strutturalmente lo stabile, contribuendo a definirne le linee architettoniche.

Vediamo questa classificazione cosa comporta in caso di danni, con alcuni casi concreti.

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Occlusione scarico nel cornicione aggettante

Quando vi è un’occlusione della griglia ubicata sul collettore/bocchettone di raccordo al pluviale si possono verificare fenomeni infiltrativi negli appartamenti sottostanti al lastrico. Le pilette di raccolta delle acque meteoriche dei lastrici di uno stabile condominiale costituiscono (al pari delle gronde, dei doccioni e dei canali di scarico delle acque piovane del tetto) una parte comune, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all’uso e al godimento comune, ricadono tra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c.

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Di conseguenza per l’inadeguatezza della piletta di scarico e dei conseguenti fenomeni infiltrativi nell’appartamento sottostante, risponde il condominio, potendo però ravvisarsi a carico del proprietario (o usuario) del lastrico o terrazzo un concorso di colpa, costituito dal mancato controllo della piletta di scarico e della sua pulizia periodica, in modo tale da impedire che le foglie presenti sulle piante del terrazzo e comunque portate eventualmente dal vento, coprano lo scarico, impedendo il deflusso delle acque (Trib. Milano 6 giugno 2017, n. 6353).

Quanto sopra vale a maggior ragione se l’occlusione riguarda il bocchettone di scarico collocato nel cornicione aggettante oltre la ringhiera della terrazza (Trib. La Spezia 19 ottobre 2023 n. 739). In tal caso i condomini rischiano di non poter contare neppure sulla copertura assicurativa, spesso esclusa per i danni derivanti da insufficiente smaltimento delle acque di origine meteoriche (di solito risultano coperti invece i danni conseguenti a rottura accidentale di pluviali o grondaie del fabbricato o a loro occlusioni provocati da neve o grandine).

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Cornicione pericolante: quando il condominio non è responsabile

Quale custode dei beni e dei servizi comuni, il condominio è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno. Conseguentemente, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., a carico del soggetto titolare del potere fisico sulla cosa sussiste una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta unicamente dalla prova che l’evento dannoso sia derivato dal caso fortuito, inteso nel senso più ampio, comprensivo della forza maggiore, del fatto del terzo e del fatto del danneggiato.

Tuttavia non è possibile dimostrare la responsabilità del condominio, se non si può provare il nesso causale tra lo stato del bene comune e le lesioni riportate dopo una caduta. Quindi, colui che intende ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla caduta di frammenti di cornicione di un condominio è tenuto a dimostrare il nesso di causalità tra il fenomeno del “crollo” di parti cementizie e il danno fisico riportato. Alla luce di quanto sopra è possibile che il condominio non sia riconosciuto responsabile delle conseguenze derivanti dal crollo di parti del cornicione.

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A tale proposito merita di essere segnalata una recente decisione della Cassazione. Nel caso di specie un uomo citava davanti al Tribunale un condominio affinché fosse accertata la responsabilità della collettività condominiale per l’omessa manutenzione del casseggiato e la conseguente condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

L’attore sosteneva che, mentre attraversava a piedi il corridoio del caseggiato, veniva colpito da pezzi di intonaco e cemento distaccatisi dal cornicione, e nel tentativo di evitarli scivolava a terra riportando gravi lesioni. Si costituiva in giudizio il condominio, contestando la domanda dell’attore; istruita la causa, il Tribunale dava ragione ai condomini, ritenendo non provato il fatto. La Corte d’Appello, confermava la sentenza di primo grado, ritenendo condivisibili le considerazioni del Tribunale circa il difetto di prova. Anche la Cassazione ha dato ragione al condominio; del resto come hanno osservato giudici supremi la Corte d’appello ha esaminato il materiale istruttorio evidenziando, con riferimento alle deposizioni di due testimoni e al verbale di pronto soccorso, le molteplici incongruenze e contraddizioni che non hanno consentito di ritenere provata né la dinamica del sinistro né il nesso causale tra il danno e l’asserita caduta di calcinacci. Inevitabile quindi che il ricorso sia risultato inammissibile (Cass. civ., 25/01/2023, n. 2118).

Cornicione pericolante e spese anticipate dal singolo condomino: diritto al rimborso

Un condomino titolare del lastrico solare riceveva una diffida del Comune ad eseguire alcuni lavori per la messa in sicurezza del cornicione pericolante e quale destinatario del provvedimento (e non per supplenza dell’amministratore) eseguiva prontamente le opere richieste. Successivamente richiedeva a gli altri condomini il rimborso delle spese sostenute, richiesta che veniva ignorata.

Di conseguenza citava in giudizio il condominio davanti al Tribunale per sentir accertare e dichiarare il suo diritto alla ripetizione delle spese di risanamento sostenute in via d’urgenza ai sensi dell’art. 1134 c.c., con conseguente condanna del condominio al pagamento delle spese sostenute per i lavori urgenti conseguenti alla diffida sindacale. Il Tribunale ha dato torto al condominio. Il giudice ha evidenziato come dai rilievi effettuati dalla Polizia Locale, dal sopralluogo dei Vigili del fuoco (depositato in atti), dal certificato di eliminato pericolo sia emersa con chiarezza la necessità di intervenire repentinamente onde eliminare i pericoli derivanti dal distacco di intonaco dal cornicione. In ogni caso il Tribunale ha evidenziato che l’attore (condomino titolare del lastrico) è riuscito a provare documentalmente, a mezzo di fatture, copie di bonifici ed assegni bancari, le anticipazioni di cui ha chiesto la restituzione al condominio (Trib. Napoli 10 ottobre 2023 n. 9189).

Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista 

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Si prendono in considerazione anche le parti comuni del supercondominio, condominio minimo e condominio parziale.

Sono analizzate inoltre le modifiche in materia di mutamento di destinazione d’uso delle parti comuni.

Non manca poi un capitolo dedicato all’uso delle parti comuni, evidenziando il nuovo orientamento della Cassazione che sembra favorire sempre più un utilizzo maggiormente rispondente all’esigenze dei condomini.

Vengono prese in considerazione inoltre le innovazioni con particolare riguardo a quelle di “interesse sociale” e a quelle legate al fenomeno superbonus 110% (fotovoltaico, colonnine di ricarica, cappotto termico, ecc.), prendendo in considerazione le importanti novità legate all’installazione di un ascensore.

Viene approfondito poi il tema della sopraelevazione in condominio con accurato esame delle questioni legate ai limiti del sopralzo.

Infine viene affrontato il tema del perimento dell’edificio condominiale; conclude l’opera il problema delle opere nelle parti esclusive e dei limiti regolamentari all’utilizzo delle porzioni private.

Giuseppe Bordolli
Mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari, è esperto di Diritto immobiliare con pluriennale esperienza in attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. Attualmente è direttore editoriale del sito Condominioweb. È collaboratore del Quotidiano condominio 24 ore, di Diritto.it e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia.

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Articolo Cornicione del lastrico solare in condominio, di chi è la responsabilità in caso di danni? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Legittima la modifica di destinazione d’uso decisa dall’assemblea con delibera condominiale

La giurisprudenza ha già avuto modo di puntualizzare che la delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte in parte a parcheggio autovetture dei singoli condomini ed in parte a parco giochi ha ad oggetto un’innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2004, n. 24146) e che la deliberazione di destinazione a parcheggio di un cortile è diretta a disciplinare le modalità d’uso del detto bene comune (Cass. civ., sez. II, 8 novembre 2004, n. 21287), stabilendo, in entrambi i casi, la legittimità delle delibere adottate anche soltanto a maggioranza.

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Vediamo di seguito cosa prevede l’articolo 1117-ter del Codice Civile. Il presente testo è estratto dal volume Parti comuni ed esclusive in condominio di Giuseppe Bordolli, edito da Maggioli Editore.

Leggi anche: Manutenzione straordinaria in condominio e malafede dell’amministratore

Modifica destinazione d’uso: il ruolo dell’assemblea

Il concetto è stato recentemente ribadito. Quindi a maggioranza è possibile destinare una parte del giardino o del cortile condominiale a parco giochi per i bambini o a parcheggio oppure trasformare l’ex portineria in un asilo nido, in una lavanderia o in un deposito per biciclette.

Da notare che le delibere possono riguardare sia la destinazione di un bene comune che non è utilizzato perché è cessata la sua destinazione originaria (si pensi a un ex locale caldaia o alla ex portineria) sia una modificazione della destinazione esistente.

Quindi secondo la giurisprudenza è legittima la trasformazione di una parte del giardino condominiale in parcheggio decisa dall’assemblea con una delibera. L’articolo 1117-ter, a prima vista, sembra riprodurre i risultati che la giurisprudenza ha acquisito in ordine al fenomeno delle “innovazioni” (già disciplinato dagli artt. 1120 e 1121 c.c.) e per la quale è innovazione non solo l’opera nuova ma anche il “mutamento della destinazione originaria” del bene. Ma così non è.

Detto articolo infatti sembra ammettere la possibilità che un bene/impianto comune possa essere “trasformato” fino a consentirne un uso completamente estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale. Si tratta di situazioni in cui alcuni condomini  possono subire diminuzioni dei loro diritti: si pensi al caso del condominio con accesso dal giardino che a seguito di delibera viene trasformato in piscina o campo da tennis.

Si pensi al caso del condomino che ha scelto un appartamento in un condominio perché tranquillo e poi viene con delibera modificato l’uso del cortile comune per realizzarne un supermercato.

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Quanto sopra trova conferma:

  • nella maggioranza (che non viene specificato se detto quorum vale per la prima o la seconda convocazione) richiesta per approvare detti interventi (quattro quinti del valore dell’edificio, cioè, 800/1000, oltre 4/5 partecipanti al condominio), così elevata da apparire “normalmente” irraggiungibile (quanto meno rispetto alle “presenze” ottenibili solitamente in assemblea);
  • nel fatto che l’art. 1117-ter precisi come dette trasformazioni non possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o alterare il decoro architettonico ma non menzioni il divieto di rendere talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, divieto che invece continuerebbe a trovare applicazione per le innovazioni ai sensi del predetto articolo 1120.

In ogni caso per l’approvazione della delibera è previsto un procedimento aggravato di convocazione diretto a garantire il massimo di conoscibilità della proposta.

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Il contenuto della lettera di convocazione dell’assemblea

Per quanto riguarda le modalità della convocazione dell’assemblea viene previsto che la lettera di convocazione:

  1. deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati;
  2. deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.

Per quanto riguarda il contenuto la lettera di convocazione dell’assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso. Per quanto riguarda il contenuto del verbale assembleare la deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti.

In ogni caso l’assemblea non può approvare le modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico (sarà poi eventualmente il giudice di merito a stabilire caso per caso se questo è invece avvenuto).

A tale proposito merita di essere sottolineato che non si precisa come siano illegittime anche le modificazioni della destinazione d’uso che rendono talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, divieto che invece continuerebbe a trovare applicazione per le innovazioni ai sensi del predetto articolo 1120.

In ogni caso la modifica approvata dall’assemblea non deve essere esplicitamente vietata da una norma del regolamento condominiale di natura contrattuale.

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Distanze in edilizia: un webinar di approfondimento normativo e pratico

Il regime delle distanze in edilizia è un argomento che continua ad essere oggetto di controversie e a registrare contrasti sia a livello normativo (tra fonti) sia a livello applicativo (ambito civilistico ed ambito amministrativo).

Per questo è stato organizzato il corso online Il regime delle distanze in edilizia: Normativa di riferimento, casistica e ipotesi di deroga, criteri di misurazione, rapporti con la disciplina edilizia e urbanistica, vincoli e giurisprudenza rilevante (III edizione), che si terrà nei giorni 27 e 28 marzo 2024, dalle 14:00 alle 18:00.

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Il webinar – a cura degli esperti Romolo Balasso e Pierfrancesco Zen, autori del volume Il regime delle distanze in edilizia – mira a fornire tutti gli strumenti necessari per padroneggiare il tema, fornendo l’inquadramento normativo di riferimento e la posizione della giurisprudenza, mediante l’esame concreto delle diverse casistiche che si possono verificare.

Ampio spazio sarà dato anche alla parte pratica, con l’analisi di fattispecie quali le pareti finestrate, il rapporto con le strade e i vincoli, le deroghe, ecc. Durante il corso – rivolto soprattutto a professionisti tecnici, operatori degli Uffici Tecnici degli enti locali, avvocati e giuristi specializzati in materia di edilizia e urbanistica – sarà possibile confrontarsi con i docenti per porre domande e casi applicativi.

Richiesto l’accreditamento per la formazione continua degli Architetti, dei Geometri e Geometri Laureati e degli Avvocati.

La quota di iscrizione comprende: accesso alla diretta del corso, materiale didattico e possibilità di rivedere la registrazione per 365 giorni.

Webinar Distanze in edilizia, programma

  • Introduzione al tema
  • Le distanze legali in edilizia
  • Normativa essenziale
  • Il rapporto del regime delle distanze con altre discipline
  • I principi fondamentali
  • Nozioni fondamentali
  • Criteri di misurazione delle distanze tra le costruzioni
  • Derogabilità al regime delle distanze in edilizia
  • Le distanze negli interventi di demolizione e ricostruzione
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Docenti Distanze in edilizia

Romolo Balasso è un architetto libero professionista che ha orientato la propria attività professionale nell’ambito tecnico-giuridico. Consulente, formatore, relatore in diversi convegni e seminari su tutto il territorio nazionale e autore di varie pubblicazioni, è stato promotore e fondatore del centro studi tecnico-giuridici Tecnojus, per il quale ricopre la carica di presidente.

Pierfrancesco Zen è invece avvocato (Foro di Padova), appartenente all’Associazione Avvocati Amministrativisti del Veneto e cofondatore del Centro Studi Tecnojus, nonché formatore e autore di diverse pubblicazioni letterarie e giuridiche, specialmente in materia di Diritto amministrativo e civile.

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Muro di cinta: in quali casi serve il permesso di costruire?

Serve il permesso di costruire per il muro di cinta con forte impatto sullo stato dei luoghi? Vediamo una recente sentenza a riguardo.

Come è noto, il Testo Unico Edilizia [1] non riconduce espressamente il “muro di cinta” nel novero degli interventi di nuova costruzione per i quali sia prescritto il permesso di costruire (articoli 3, comma 1, lettera e), e 10), ma neppure lo colloca tra quelli soggetti a SCIA.

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A questo riguardo l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato[2] è nel senso che, più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi), occorre far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che l’intervento edilizio deve qualificarsi quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.

Diversamente, a prescindere “dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990[3].

Leggi anche Quali permessi occorrono per recinzioni, muri di cinta e cancellate?

Applicando il riportato principio, il TAR Molise, sez. I, nella sent. 7 novembre 2023, n. 292, ha ritenuto necessario il permesso di costruire dinanzi ad “una costruzione in cemento armato, dell’altezza di 90cm e larghezza di 40cm, il quale – ben visibile da entrambi i lati – si staglia fuori dal piano di campagna per tutta la lunghezza di 75 metri, radicandosi a terra con una base cd. a “L””.

Similmente, fra la casistica giurisprudenziale che ha ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta, segnaliamo:

  • TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 2 agosto 2022, n. 5234, “per un muro di recinzione costituito da muratura di tufo e cemento armato, lungo circa 25 mt. e avente altezza pari a circa 2,70 mt. per uno spessore di circa 25 cm., derivante dalla ricostruzione di parte di un preesistente muro in pietrame lavico”;
  • TAR Campania, Salerno, sez. III, sent. 25 agosto 2021, n. 5624: “per 2 tronconi di muro realizzati con blocchi di lapilcemento – di cui, il primo, a Sud del fondo, per una lunghezza mt 16,45 spesso mt 0.20 e alto di mt 0.40, al cui termine, sul lato Est, si ritrova un cancello in ferro largo mt 3.60 ed alto 2.00 e, il secondo, di mt 17,90, largo mt 0.20 ed alto mt 0.40, cui è posto, a chiusura, un altro cancello in ferro largo mt 3.00 ed alto mt 2,20 -, entrambi con sovrapposizione di rete metallica bendata da materiale plastico sorretta da pali in ferro di altezza mt 2,00”;
  • TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 2 luglio 2021, n. 1341[4]: per un muro perimetrale in cemento armato di altezza media di m 1,65, sovrastato sui vari lati da ringhiera di ferro di m 1,50, con lunghezza complessiva di m 83,00 e per un muro di separazione lungo m 26 circa, alto m 1,45, anch’esso sovrastato da una ringhiera in ferro alta m 1,50, realizzato all’interno della medesima area recintata, parzialmente pavimenta ed adibita ad aiuole e spazi verdi attrezzati;
  • TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 11 giugno 2021, n. 905: “per un muro di confine, realizzato in conci di pomice e pietra calcarea, dell’altezza variabile tra m. 1,75 e m 2,50: infatti, tenuto conto delle relative dimensioni, detto manufatto non si esaurisce nell’esercizio dello jus excludendi alios, ma è tale da determinare la stabile trasformazione del territorio”;
  • TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 28 aprile 2020, n. 1542: per “un muro di recinzione lungo mt. 25 e alto mt. 2,50, munito di cancello carrabile scorrevole in ferro della larghezza di mt. 5, che è certamente qualificabile come opera muraria che incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio”.

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In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

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[1] DPR n. 380/2001.

[2] Ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 4 luglio 2014, n. 3408.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 3 maggio 2011, n. 2621.

[4] Nel caso specifico i giudici catanzaresi hanno affermato che “In applicazione della richiamata giurisprudenza, pertanto, e avuto riguardo alle caratteristiche strutturali delle opere, è da escludersi che tali interventi possano qualificarsi di modesta entità e siano quindi realizzabili in regime di edilizia libera, impattando di contro sull’assetto del territorio, sul piano urbanistico ed edilizio. Né, ancora, è possibile considerare i muri come pertinenze, posto che il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, “applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica” (Consiglio di Stato, Sez. II, 9 ottobre 2020, n. 6020)”.

Immagine: iStock/beekeepx

Articolo Muro di cinta: in quali casi serve il permesso di costruire? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it