Muro di cinta: in quali casi serve il permesso di costruire?

Serve il permesso di costruire per il muro di cinta con forte impatto sullo stato dei luoghi? Vediamo una recente sentenza a riguardo.

Come è noto, il Testo Unico Edilizia [1] non riconduce espressamente il “muro di cinta” nel novero degli interventi di nuova costruzione per i quali sia prescritto il permesso di costruire (articoli 3, comma 1, lettera e), e 10), ma neppure lo colloca tra quelli soggetti a SCIA.

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A questo riguardo l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato[2] è nel senso che, più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi), occorre far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che l’intervento edilizio deve qualificarsi quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.

Diversamente, a prescindere “dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990[3].

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Applicando il riportato principio, il TAR Molise, sez. I, nella sent. 7 novembre 2023, n. 292, ha ritenuto necessario il permesso di costruire dinanzi ad “una costruzione in cemento armato, dell’altezza di 90cm e larghezza di 40cm, il quale – ben visibile da entrambi i lati – si staglia fuori dal piano di campagna per tutta la lunghezza di 75 metri, radicandosi a terra con una base cd. a “L””.

Similmente, fra la casistica giurisprudenziale che ha ritenuto necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di cinta, segnaliamo:

  • TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 2 agosto 2022, n. 5234, “per un muro di recinzione costituito da muratura di tufo e cemento armato, lungo circa 25 mt. e avente altezza pari a circa 2,70 mt. per uno spessore di circa 25 cm., derivante dalla ricostruzione di parte di un preesistente muro in pietrame lavico”;
  • TAR Campania, Salerno, sez. III, sent. 25 agosto 2021, n. 5624: “per 2 tronconi di muro realizzati con blocchi di lapilcemento – di cui, il primo, a Sud del fondo, per una lunghezza mt 16,45 spesso mt 0.20 e alto di mt 0.40, al cui termine, sul lato Est, si ritrova un cancello in ferro largo mt 3.60 ed alto 2.00 e, il secondo, di mt 17,90, largo mt 0.20 ed alto mt 0.40, cui è posto, a chiusura, un altro cancello in ferro largo mt 3.00 ed alto mt 2,20 -, entrambi con sovrapposizione di rete metallica bendata da materiale plastico sorretta da pali in ferro di altezza mt 2,00”;
  • TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 2 luglio 2021, n. 1341[4]: per un muro perimetrale in cemento armato di altezza media di m 1,65, sovrastato sui vari lati da ringhiera di ferro di m 1,50, con lunghezza complessiva di m 83,00 e per un muro di separazione lungo m 26 circa, alto m 1,45, anch’esso sovrastato da una ringhiera in ferro alta m 1,50, realizzato all’interno della medesima area recintata, parzialmente pavimenta ed adibita ad aiuole e spazi verdi attrezzati;
  • TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 11 giugno 2021, n. 905: “per un muro di confine, realizzato in conci di pomice e pietra calcarea, dell’altezza variabile tra m. 1,75 e m 2,50: infatti, tenuto conto delle relative dimensioni, detto manufatto non si esaurisce nell’esercizio dello jus excludendi alios, ma è tale da determinare la stabile trasformazione del territorio”;
  • TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 28 aprile 2020, n. 1542: per “un muro di recinzione lungo mt. 25 e alto mt. 2,50, munito di cancello carrabile scorrevole in ferro della larghezza di mt. 5, che è certamente qualificabile come opera muraria che incide in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio”.

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Consigliamo

[1] DPR n. 380/2001.

[2] Ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 4 luglio 2014, n. 3408.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 3 maggio 2011, n. 2621.

[4] Nel caso specifico i giudici catanzaresi hanno affermato che “In applicazione della richiamata giurisprudenza, pertanto, e avuto riguardo alle caratteristiche strutturali delle opere, è da escludersi che tali interventi possano qualificarsi di modesta entità e siano quindi realizzabili in regime di edilizia libera, impattando di contro sull’assetto del territorio, sul piano urbanistico ed edilizio. Né, ancora, è possibile considerare i muri come pertinenze, posto che il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, “applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica” (Consiglio di Stato, Sez. II, 9 ottobre 2020, n. 6020)”.

Immagine: iStock/beekeepx

Articolo Muro di cinta: in quali casi serve il permesso di costruire? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Permesso di costruire, il pergolato non lo richiede

11Gli argomenti della selezione di sentenze per l’edilizia e l’urbanistica pubblicate la scorsa settimana sono… 1) Pergolato – permesso di costruire – non necessità; 2) Permesso di costruire – irrevocabilità; 3) Condono – data ultimazione lavori – onere della prova; 4) Disciplina urbanistica – efficacia per le future edificazioni; 5) Destinazione a verde agricolo – finalità.

Pergolato, non serve il permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 6 dicembre 2018, n. 1761
Massima: Il pergolato non richiede il permesso di costruire ma è un mero arredo di uno spazio esterno.

La realizzazione di un pergolato in struttura leggera, con copertura filtrante (costituita da essenze arboree secondo il progetto originario e da una ‘incannucciata’ secondo la eseguita variante) e facilmente amovibile non è, all’evidenza, riconducibile alle categorie edilizie della nuova costruzione o della ristrutturazione ‘pesante’, esulanti dal regime abilitativo della c.d. d.i.a. (ora s.c.i.a.) semplice (distinta dalla c.d. super d.i.a., ora s.c.i.a.).

In questo senso, è da considerarsi, appunto, a guisa di semplice pergolato, ossia di mero arredo di uno spazio esterno, non comportante aumento di volumetria o superficie utile, e, quindi, non assoggettato al regime abilitativo del permesso di costruire (o della c.d. super d.i.a., ora s.c.i.a.), un simile manufatto realizzato in struttura leggera facilmente amovibile (siccome privo di fondamenta), che funge da sostegno per piante rampicanti, teli o equivalenti coperture filtranti, il cui aspetto caratteristico risiede nella mancanza di pareti e di copertura impermeabile (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 17 novembre 2010, n. 4638) e che realizza una ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, destinate ad uno del tutto momentaneo, (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2011, n. 5409; sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2134; 8 maggio 2018, n. 2743; TAR Puglia, Bari, sez. III, 6 febbraio 2009, n. 222; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 17 novembre 2010, n. 4638; 29 agosto 2012, n. 1481; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 5 febbraio 2015, n. 908).

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Progettare e costruire soppalchi, pensiline, parapetti e pergolati

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Agnese Urbinati – Davide Vandi, 2018, Maggioli Editore

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Permesso di costruire: è irrevocabile

Estremi della sentenza: TAR Calabria, Reggio Calabria, sent. 3 dicembre 2018 n. 713
Massima: Il permesso di costruire è irrevocabile.

Di norma, tutti i provvedimenti amministrativi discrezionali destinati a produrre effetti che si protraggono nel tempo sono revocabili, nel momento in cui il protrarsi degli stessi non risulti più conforme all’interesse pubblico. Nel caso del permesso di costruire – ma la riflessione può tranquillamente estendersi a qualsiasi altro titolo edilizio ivi compresa l’autorizzazione al mutamento della destinazione d’uso – in considerazione del limitato ambito di discrezionalità insito nel potere di rilasciarlo e dell’affidamento che si genera con il suo ottenimento in capo al richiedente, la legge ne ha statuito la sua assoluta irrevocabilità (art.11 comma 2 D.P.R. 380/01).

Sotto questo profilo, pertanto, il permesso di costruire non può essere revocato dall’organo competente per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (cfr. TAR Campania, Napoli sez. III 07.06.13 n.3053; TAR Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, 23.10.14 n.365), ma può essere solo annullato per motivi di legittimità.

In tale ipotesi, l’ente procedente è tenuto ad emanare un provvedimento di secondo grado seguendo un percorso procedimentale identico a quello che ha portato al rilascio del titolo richiesto che comprende l’avvio del procedimento, la dimostrazione della sussistenza di un interesse pubblico concreto e specifico al ritiro del precedente atto, della necessaria ponderazione di ogni eventuale opposto interesse del destinatario e dei controinteressati e della congruità del provvedimento in termini di ragionevolezza del tempo trascorso, tenendo conto soprattutto dell’affidamento incolpevole maturato in capo al richiedente.

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Casi pratici risolti                                                                                                           Decadenza e proroga del permesso di costruire

Casi pratici risolti Decadenza e proroga del permesso di costruire

Mario Petrulli, 2017, Maggioli Editore

L’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire (art. 15 del d.P.R. 380/2001, c.d.Testo Unico Edilizia) sono il punto di partenza da cui si sviluppa quest’opera, dal taglio operativo, rivolta ai  professionisti tecnici e  legali del  settore pubblico e privato. 
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Condono, onere della prova per ultimazione lavori grava sul richiedente la sanatoria

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 5 dicembre 2018 n. 2735
Massima: L’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria.

Per costante giurisprudenza, l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2018 n. 1837).

Disciplina urbanistica, efficacia per le future edificazioni

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 5 dicembre 2018 n. 2736
Massima: La disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti ordinatori e conformativi esclusivamente con riferimento all’edificazione futura e non anche all’edificazione esistente, a condizione che quest’ultima sia stata legittimamente realizzata.

La disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti ordinatori e conformativi esclusivamente con riferimento all’edificazione futura e non anche all’edificazione esistente, a condizione che quest’ultima sia stata legittimamente realizzata (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 4925/2013). Ne consegue che «le opere già eseguite in conformità della disciplina previgente, conservano la loro precedente e legittima destinazione, senza che sia nemmeno possibile impedire gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzione» (così, C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 4009/2009).

Dunque il Comune non può vietare qualunque intervento, anche di semplice manutenzione ordinaria, sugli impianti esistenti.

Destinazione a verde agricolo, finalità

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 3 dicembre 2018 n. 2712
Massima: Per costante giurisprudenza, la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano.

Per costante giurisprudenza, la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, IV, 12 febbraio 2013, n. 830; 16 novembre 2011, n. 6049; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 giugno 2018, n. 1534; 20 giugno 2017, n. 1371).

A questo proposito, è poi utile aggiungere che, anche laddove si fosse al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 giugno 2018, n. 1534; 21 febbraio 2017, n. 434).

Né d’altra parte la presenza di edifici si pone in contrasto con la destinazione agricola in quanto tale destinazione non impedisce l’edificazione a servizio dell’agricoltura.

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Articolo Permesso di costruire, il pergolato non lo richiede di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it

Decadenza permesso di costruire, una foto aerea di Google Earth prova il mancato inizio lavori?

Come ogni settimana, ecco la selezione delle sentenze di edilizia e urbanistica pubblicate tra il 29 gennaio e il 2 di febbraio. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: Decadenza permesso di costruire per mancato inizio lavori (insufficienza di una foto aerea Google Earth) Tettoia (titolo edilizio necessario), Soppalco (titolo edilizio necessario), Abusi edilizi (affidamento nell’autore, esclusione e, se su suolo pubblico, necessità ordine di demolizione, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento), SCIA (poteri inibitori, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento), Volturazione del titolo edilizio (effetto liberatorio rispetto agli oneri concessori).

Decadenza permesso di costruire per mancato inizio lavori: insufficienza di una foto aerea Google Earth

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 31 gennaio 2018, n. 54
Massima: Una foto aerea di Google Earth non è sufficiente per dichiarare la decadenza del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori

L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con il permesso di costruire incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto adottato devono essere accertati dall’autorità emanante.

La giurisprudenza ritiene che le foto aeree di Google Earth non assicurino con certezza la data del rilevamento; ad esempio, è stato affermato che “il Collegio non ritiene che i rilevamenti tratti da Google Earth prodotti in giudizio possano costituire, di per sé ed in assenza di più circostanziati elementi che la ricorrente non ha fornito, documenti idonei al prefato scopo e ciò, in particolare, in considerazione della provenienza del suddetto rilevamento, delle incertezze in merito all’epoca di risalenza delle immagini visualizzate (come emerge dallo stesso sito – alla pagina: https://support.google.com/earth/answer/21417?hl=it – per impostazione predefinita il software “visualizza le immagini di qualità migliore disponibili per una determinata località”, con la precisazione che “a volte potrebbero essere visualizzate immagini meno recenti se sono più nitide rispetto a quelle più recenti”), della genericità delle informazioni relative ai metodi di esecuzione del rilevamento medesimo” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 27 novembre 2014 n. 6118).

Di conseguenza, il provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire basato esclusivamente su una foto aerea Google Earth è carente di motivazione e, conseguentemente, illegittimo.

Tettoia, titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VII Salerno, sent. 30 gennaio 2018 n. 649
Massima: Serve il permesso di costruire per le tettoie di rilevanti dimensioni

Secondo una consolidata giurisprudenza, (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 19 dicembre 2005, n. 20427; 29 luglio 2005, n. 10479; 2 dicembre 2004, n. 18027), la realizzazione di una tettoia è soggetta al preventivo rilascio del permesso di costruire quando essa, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all’immobile cui accede, incide sull’assetto edilizio preesistente.

Di conseguenza, è necessario il suddetto titolo edilizio per la realizzazione di 4 tettoie di rilevanti dimensioni (mq 19 circa; mq 31 circa; mq 86 circa; mq 58 circa), come tali certamente idonee ad incidere sull’assetto edilizio.

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Soppalco, titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 31 gennaio 2018 n. 693
Massima: È necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico

Com’è noto, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. In linea di principio, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico; si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile (Consiglio di Stato, sez. VI, 02/03/2017, n. 985).

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In linea con l’indirizzo suindicato si dispiega la giurisprudenza che ha, di recente, evidenziato come la realizzazione di un soppalco non rientra nell’ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo, ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell’appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (cfr. Tar Sardegna, Sez. II, 23 settembre 2011, n. 952; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 11 luglio 2011, n. 1863; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 21 marzo 2011, n. 1586).

Abusi edilizi: affidamento nell’autore, esclusione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 29 gennaio 2018 n. 231
Massima: La commissione di abusi edilizi non può ingenerare nell’autore dell’abuso alcun affidamento, e ciò a prescindere dal decorso del tempo che comunque non estingue il potere sanzionatorio della p.a., che al contrario è tenuta anche penalmente a perseguire le violazioni edilizie in qualunque tempo accertate

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2017, n. 908; Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4205; Sez., IV, 31 agosto 2016, n. 3750) che la commissione di abusi edilizi non può ingenerare nell’autore dell’abuso alcun affidamento, e ciò a prescindere dal decorso del tempo che comunque non estingue il potere sanzionatorio della p.a., che al contrario è tenuta anche penalmente a perseguire le violazioni edilizie in qualunque tempo accertate.

Peraltro, con una recente decisione, il Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9) ha confermato questo indirizzo giurisprudenziale e ne ha fornito, ove fossero mancate, ulteriori ragioni argomentative, chiarendo che: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.

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Abuso edilizio su suolo pubblico: necessità dell’ordine di demolizione e non necessità della comunicazione di avvio del procedimento

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. III Salerno, sent. 30 gennaio 2018 n. 654
Massima: L’ordine di demolizione è l’unica sanzione possibile per l’abuso realizzato su suolo di proprietà pubblica e non deve essere proceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento

Secondo la giurisprudenza, la circostanza che l’abuso sia stato realizzato su suolo di proprietà dello Stato determina l’applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/01, che in tale ipotesi prevede, quale unica ed esclusiva conseguenza, la demolizione a spese del responsabile.

La norma non contempla alcuna ipotesi alternativa alla demolizione, essendo evidentemente preordinata a evitare l’indebito utilizzo del bene demaniale per cui, nei casi di edificazione “contra legem”, non occorre alcun accertamento ulteriore e occorre verificare solo che trattasi di suolo di proprietà pubblica e che nessun titolo è stato rilasciato. Pertanto, dall’abusività dell’opera scaturisce con carattere vincolato l’ordine di demolizione, che in ragione di tale sua natura non esige una specifica motivazione o la comparazione dei contrapposti interessi, né deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento o tener conto del lasso di tempo intercorso (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 28 aprile 2014 n. 2196; T.A.R. Campania, sez. III, 14.4.2015, n. 2098).

SCIA: poteri inibitori, non necessità della comunicazione di avvio del procedimento

Estremi della sentenza: TAR Veneto, sez. III, sent. 31 gennaio 2018 n. 95
Massima: Per l’esercizio dei poteri inibitori in materia di SCIA non è richiesta la comunicazione di avvio del procedimento né il preavviso di rigetto

La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività – che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge – induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento o il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge n. 241/1990 prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. T.A.R. Campania Napoli n. 3896/2017, T.A.R. Catanzaro (Calabria), sez. II, 5 marzo 2015, n. 478, Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3112, 14 aprile 2014, n. 1800 e 25 gennaio 2013, n. 489).

Il denunciante la SCIA è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso della. P.A. e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione. In assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’amministrazione (T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 04/03/2016, n. 79).

Volturazione del titolo edilizio: effetto liberatorio rispetto agli oneri concessori

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. I Catanzaro, sent. 29 gennaio 2018 n. 277
Massima: Solo con la volturazione del titolo edilizio concordata con l’amministrazione il precedente titolare del bene può essere liberato dal pagamento degli oneri concessori

I trasferimenti della proprietà del bene su cui incide l’attività edilizia assentita non hanno efficacia nel rapporto pubblicistico che sorge per effetto del rilascio del provvedimento di assenso, salvo che non vi sia una novazione soggettiva, come tale però concordata con l’amministrazione. Come indicato in passato dalla giurisprudenza, infatti, (T.A.R. Toscana, Sez. III, 12 marzo 2014 n. 493, T.A.R. Molise, 25 luglio 2012 n. 27), “L’originario titolare di un permesso di costruire può liberarsi dagli obblighi connessi al titolo, nel caso in cui alieni il terreno da edificare — ovvero l’edificio in costruzione — cedendo il titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con tale atto, il Comune autorizza l’acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l’accollo degli oneri concessori da parte dell’acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare”.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Gli interventi edilizi: definizioni e titoli abilitativi - II edizione

Gli interventi edilizi: definizioni e titoli abilitativi – II edizione

M. Petrulli, A. Mafrica, 2017, Maggioli


Articolo Decadenza permesso di costruire, una foto aerea di Google Earth prova il mancato inizio lavori? di Ediltecnico.

Source: Ediltecnico.it